miércoles, 8 de julio de 2009

Ni terroriste ni terrorisée



Appunti tratti da un saggio di TIquun sui dispositivi. Questo testo costituisce l’atto fondatore della S.A.S.C. , la Società Avanzamento della Scienza Criminale. La S.A.S.C è una associazione a fini non lucrativi la cui vocazione è di raccogliere anonimamente, classificare e diffondere tutti i saperi-poteri utili alle macchine da guerra anti-imperiali.

VI
[…]
Ciò che bisogna comprendere, in effetti, è che ogni dispositivo funziona
a partire da una coppia - inversamente, l'esperienza mostra che una coppia
che funziona è una coppia che fa dispositivo. Una coppia, e non un paio o
un doppio, perché ogni coppia è asimmetrica, comporta un maggiore e un
minore. Il maggiore e il minore non sono solo nominalmente distinti - due
termini «contrari» possono perfettamente designare la stessa proprietà,
ed è in un senso il caso più sovente - , lei nomina due modalità
differenti di aggregazione dei fenomeni. Il maggiore, all'interno del
dispositivo, è la norma. Il dispositivo aggrega ciò che è incompatibile
con la norma attraverso il semplice fatto di non distinguerlo, di lasciarlo
immerso nella massa anonima, portante di ciò che è «normale». Così in
una sala cinematografica, quello che ne urla, ne canticchia, ne si spoglia,
ne etc. resterà indistinto, aggregato alla folla ospedaliera degli
spettatori, significante in quanto insignificante, al di là di ogni
riconoscimento. Il minore del dispositivo sarà quindi l'anormale . È
questo che il dispositivo fa esistere, singolarizza, isola, riconosce,
distingue, poi riaggrega, ma in quanto disaggregato, separato, differente
dal resto dei fenomeni. Si ha qui il minore, composto dall'insieme di
quello che il dispositivo individua, predica e attraverso questo
disintegra, spettralizza, sospende; insieme con il quale ci SI assicura che
non si condensi mai, che si ritrovi mai ed eventualmente cospiri. È in
questo punto che la meccanica elementare del Biopotere si collega
direttamente alla logiaca della rappresentazione che domina la metafisica
occidentale.

La logica della rappresentazione è di ridurre ogni alterità, di far
scomparire ciò che è qui, che viene in presenza, nella sua pura ecceità,
e dà da pensare. Ogni alterità, ogni differenza radicale, nella logica
della rappresentazione è appresa come negazione dell'Identico che
quest'ultimo ha cominciato col porre. Ciò che differisce bruscamente e che
non possiede niente in comune con l'identico e così riportato, proiettato
su di un piano comune che non esiste e nel quale figura ormai una
contraddizione di cui teme uno dei termini. Nel dispositivo, ciò che non
è la norma è così determinato come la sua negazione, come anormale.
Quello che è solamente altro, è reintegrato come altro dalla norma, come
ciò che gli si oppone. Il dispositivo medico farà dunque esistere il
«malato» come ciò che non è sano. Il dispositivo scolare lo
«scaldabanco» come quello che non è obbediente. Il dispositivo
giudiziario il «crimine» come ciò che non è legale. Nella biopolitica
quello che non è normale risulterà così patologico, anche se noi
sappiamo per esperienza che la patologia è essa stessa, per l'organismo
malato, una norma di vita, e che la salute non è legata auna norma di vita
particolare ma ad uno stato di forte normatività, ad una capacità di
affrontare e di creare altre norme di vita. L'essenza di ogni dispositivo
è quindi di imporre una divisione autoritaria del sensibile in cui tutto
ciò che viene alla presenza si confronti con il ricatto della propria
binarità.
L'aspetto temibile di ogni dispositivo consiste nel fatto che si regge
sulla struttura originaria della presenza umana: che noi siamo chiamati,
richiesti dal mondo. Tutte le nostre «qualità», il nostro «vero
essere», si stabiliscono in un gioco con gli essenti in modo che la nostra
disposizione verso di loro non viene per prima. Per tanto, ci succede
correntemente, nei dispositivi più banali, come un sabato sera
spumeggiante tra coppie piccolo borghesi in una villetta di periferia, di
provare il carattere non più di richiesta ma di possessione, e anche di
estrema possessività che caratterizza ogni dispositivo. È questo che si
proverà nelle discussioni superflue che punteggerà questa penosa serata.
Uno dei Bloom «presenti» comincerà la sua tirata contro i
funzionari-che-sono-sempre-in-sciopero; fatto questo, il ruolo essendo
conosciuto, una contro-polarizzazione di tipo socialdemocratico apparirà
in un altro dei Bloom, che giocherà la sua parte più o meno felicemente,
etc. Qui non ci sono dei corpi che si parlano, è un dispositivo che
funziona. Ognuno dei protagonisti attiva in serie le piccole macchine
significanti pronte all'uso, e che sono sempre-già inscritte nel
linguaggio corrente, nella grammatica, nella metafisica, nel SI. La sola
soddisfazione che noi possiamo trarre da questo genere di esercizio, è di
aver giocato nel dispositivo con brio. La virtuosità è la sola libertà,
derisoria, che offre la sottomissione ai determinismi significanti.

Chiunque parla, agisce, «vive» in un dispositivo è in qualche maniera
autorizzato da esso. È costituito come autore dei suoi atti, delle sue
parole, della sua condotta. Il dispositivo assicura l'integrazione, la
conversione in identità di un insieme eterogeneo di discorsi, di gesti, di
attitudini: di ecceità. La reversione di ogni evento in identità è ciò
attraverso cui i dispositivi impongono un tirannico ordine locale al caos
globale dell'Impero. La produzione di differenze, di soggettività,
obbedisce anch'essa all'imperativo binario: la pacificazione imperiale
riposa interamente sulla messa in scena di una moltitudine di false
antinomie e di conflitti simulati: «per o contro Milosevic», «per o
contro Saddam», «per o contro la violenza»…La loro attivazione ha
l'effetto bloomizzante che conosciamo e che finisce per ottenere da noi
l'indifferenza onnilaterale sulla quale si appoggia l'ingerenza a pieno
regime della polizia imperiale. Non è altra cosa dalla pura siderazione
davanti al gioco impeccabile, la vita autonoma, la meccanica artistica dei
dispositivi e dei significati, che noi proviamo davantia qualsiasi
dibattito televisivo, se gli attori possiedono un po' di talento. Così,
gli «anti-mondializzazione» opporanno i loro prevedibili argomenti ai
«neo-liberali». I «sindacati» rigiocheranno senza fine al 1936 di
fronte a un eterno Comité des Forges. La polizia combatterà la feccia. I
«fanatici» affronteranno i «democratici». Il culto della malattia
crederà di sfidare il culto della salute. E tutta questa agitazione
binaria sarà il migliore garante del sonno mondiale. È così che giorno
dopo giorno ci SI risparmia con cura il faticoso dovere di esistere.

Janet, che ha studiato un secolo fa tutti i casi precursori del Bloom, ha
consacrato un volume a quello che chiama «automatismo psicologico». Egli
rivolge la propria attenzione a tutte le forme positive di crisi della
presenza: suggestione, sonnambulismo, idee fisse, ipnosi, medianismo,
scrittura automatica, disaggregazione mentale, allucianazioni, possessioni,
etc. La causa, o piuttosto la condizione, di tutte queste manifestazioni
eterogenee, egli la trova in ciò che chiama la «miseria psicologica».
Per «miseria psicologica» egli intende una debolezza generale
dell'essere, inseparabilmente fisica e metafisica, che si apparenta da
parte a parte a ciò che noi chiamiamo Bloom. Questo stato di debolezza,
sottolinea Janet, è anche il terreno della guarigione specialmente della
guarigione attraverso l'ipnosi. Più il soggetto è bloomificato, più è
accessibile alla suggestione e guaribile in questa maniera. E più egli
riscopre la salute meno questa medicina è operante, meno è
suggestionabile. Il Bloom è dunque la condizione di funzionamento dei
dispositivi, la nostra propria vulnerabilità a a questi. Ma al contrario
della suggestione, il dispositivo non mira mai a ottenere qualche ritorno
alla salute bensì ad integrarsi a noi come protesi indispensabile della
nostra presenza, come stampella naturale. C'è un bisogno del dispositivo
che quest'ultima non placa che per accrescerlo. Per parlare come i becchini
del CNRS (organismo ricerca universitaria) i dispositivi «incoraggiano
l'espressione»

Noi dobbiamo imaparare a cancellarci, a passare inosservati nella banda
grigia di ogni dispositivo, a camuffarci dietro il suo maggiore. Anche
quando il nostro impulso spontaneo sarebbe quello di opporre il gusto
dell'anormale al desiderio di conformità, dobbiamo acquisire l'arte di
divenire perfettamente anonimi, di offrire l'apparenza della pura
conformità. Dobbiamo acquisire queta pure arte della superficie per
condurre le nostre operazioni. Questo rinvia, ad esempio, a congedare la
pseudo-trasgressione delle non meno pseudo-convenzioni sociali, a revocare
il partito della «sincerità», della «verità», dello «scandalo»
rivoluzionari a profitto di una cortesia tirannica, attraverso la quale
tenere a distanza il dispositivo e i suoi invasati. La trasgressione, la
mostruosità, l'anormalità rivendicate formano la trappola più nascosta
che i dispositivi ci tendono. Voler essere, ovvero essere singolare, in un
dispositivo è la nostra principale debolezza, attraverso cui esso ci tiene
e ci mette in funzione. Inversamente, il desiderio, di essere controllato,
così frequente nei nostri contemporanei, esprime inanzitutto il loro
desiderio d'essere. Per noi, questo desiderio sarà piuttosto desiderio di
essere folli o mostruosi, o criminali. Ma questo desiderio è quello stesso
attraverso cui SI prende controllo di noi e ci neutralizza. Devereux ha
mostrato che ogni cultura dispone per quelli che vorrebbero sfuggirgli di
una negazione modello, un'uscita segnata, attraverso la quale questa
cultura capta l'energia motrice di tutte le trasgressioni in una superiore
stabilizzazione e l'amoc per i Malesi è in Occidente, la schizofrenia. Il
Malese «è precondizionato dalla sua cultura, forse a sua insaputa, ma
sicuramente in una maniera quasi automatica, a reagire a qualsiasi tensione
violenta, interiore o esteriore, con una crisi d'amoc. Nello stesso senso
l'uomo moderno occidentale è condizoionato dalla sua cultura a reagire a
ogni stato di stress con un comportamento in apparenza schizofrenico […
]essere schizofrenico rappresenta la maniera "accettabile" di essere folli
nella nostra società» (La schizophrénie, psychose ethnique ou La
schizophrénie sans larmes).

REGOLA N° 1 Ogni dispositivo produce la singolarità come mostruosità.
In questo modo si rinforza.
REGOLA N° 2 Non ci si libera mai da un dispositivo impegnandosi nel suo
minore.
REGOLA N° 3 Quando vi SI dà un predicato, vi si soggettivizza e vi si
dà una caratteristica, mai reagire e soprattutto mai negare. La
contro-soggettivazione che vi SI strapperebbe in quel momento è la
prigione dalla quale avrete sempre le maggiori difficoltà ad evadere.
REGOLA N° 4 La libertà superiore non risiede nell'assenza di predicato,
nell'anonimato per difetto. La libertà superiore risulta al contrario
dalla saturazione di predicati, dalla loro anarchica accumulazione. La
sovra predicazione si annulla automaticamente in una definitiva
impredicabilità. «Nel momento in cui noi non abbiamo più segreti, non
abbiamo più nulla da nascondere. Noi stessi siamo diventati un segreto,
noi che siamo nascosti» (Deleuze-Parnet, Conversazioni).
REGOLA N° 5 Il contro-attacco non è mai una risposta, ma l'instaurazione
di un nuovo dato.

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2 comentarios:

  1. ...ehhh purtroppo non sono gli italiani ad emulare berlusconi, ma è berlusconi ad essere "gli italiani", berlusconi gli ha solo dato una piattaforma liberale...
    più che una censura oggi c'è una vera repressione, cresciuta negli anni, non è il governo che può cambiare, ma per riprendere il testo, è la nostra autonomia che dobbiamo "rubare"...la sinistra non esiste da vent'anni, e che oggi cerchi di aver voce attraverso quella che loro chiamano "una puttanopoli" (sic!), sempre esistita è alquanto banale, per non parlare dei "movimenti" (???)una volta "i black-block dei 5 minuti", una volta fascisti, una volta para(culo)istituzionali, lì in strada con le loro parate estetiche a chiedere qualche diritto per il loro piccolo "milieu"...insomma alla fine poche domande non ci porteranno alla rivoluzione...e se non ci sono i mezzi, prendiamoceli, ma forse quello che manca a molt* è il desiderio " feroce di qualcosa di vertiginoso"....
    un abbraccio
    u*

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  2. Grazie u* per il commentario. Hai ragione quando dici che quello che manca a molt* è il desiderio, credo anche che molt* hanno paura a quella vertigine data dal rischio. Trent'anni di una educazione a messaggi subliminali ha definito bene questa paura.
    E' vero dobbiamo prenderceli questi mezzi e anche mostrarli a chi non ha la possibilità d'accedere a questi.
    Grazie ancora.

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