jueves, 28 de agosto de 2014

Un'intervista a ideadestroyingmuros sugli arcipelaghi postesotici


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Le rotte cangianti di Ideadestroyingmuros per gli arcipelaghi resistenti
Femminismi. Un'intervista al gruppo di militanza poetica ideadestroyngmuros

ideadestroy­ing­mu­ros, col­let­tivo fem­mi­ni­sta, trans­cul­tu­rale e di mili­tanza poe­tica, mette al cen­tro della pro­pria rifles­sione l’elaborazione dei pro­cessi geo-politici attra­verso il pro­prio vis­suto. Nella scrit­tura uti­liz­zano sem­pre il carat­tere minu­scolo come «segno di un dive­nire mino­ri­ta­rio pos­si­bile che ini­zia dall’estetica della frase». dal 2005 inven­zione e dislo­ca­zione com­pon­gono così la cifra poli­tica scelta dal gruppo che vive in diversi paesi euro­pei e che crea pro­getti attra­verso fitte cor­ri­spon­denze e momenti di vita con­di­visa. L’ultimo è stato in occa­sione della mostra archi­pe­la­ghi in lotta — le isole poste­so­ti­che, accolta nel mag­gio scorso all’università di Paris8, che tut­ta­via risponde a una nar­ra­zione più ampia comin­ciata nel 2013 e che Rachele Bor­ghi si sta impe­gnando a ospi­tare in autunno nel luogo in cui inse­gna: la Sorbona.

voi scri­vete che «exo­ti­que (…) descrive un’economia e ci pro­ietta imme­dia­ta­mente nelle rela­zioni neo­ca­pi­ta­li­ste tra le mul­ti­na­zio­nali e i popoli». Come met­tete in scena le vostre isole post-esotiche e che cosa signi­fi­cano per voi?

sin dall’inizio ci era chiaro che l’esotico fosse una dimen­sione dell’immaginario e un genere di rap­pre­sen­ta­zione delle rela­zioni neo­co­lo­niali. ci inte­res­sava per­ché mostrava l’intreccio tra le poli­ti­che inter­na­zio­nali, le eco­no­mie, le migra­zioni, e le per­ce­zioni di sé e delle alte­rità.
pen­sare il poste­so­tico dell’arcipelago mira a ren­dere visi­bili i con­flitti, le resi­stenze e lo sfrut­ta­mento che inter­cor­rono tra capi­tali e isole, deco­struendo l’immagine sel­vag­gia incon­ta­mi­nata e sen­suale a cui ogni isola è ridotta. l’esotico man­tiene i mondi lon­tani e li con­nette gerar­chi­ca­mente, per­met­tendo all’occidente di cer­care un luogo altro dove imporsi, una cul­tura altra per assol­versi, una spiag­gia per dimen­ti­care la pro­pria sto­ria e il pro­prio quo­ti­diano. la dere­spon­sa­bi­liz­za­zione è con­sen­tita per­ché i mondi sono con­si­de­rati sepa­ra­bili. il turi­smo è un esem­pio lam­pante di que­sta poli­tica. cucire l’arcipelago è stato un modo per rap­pre­sen­tare imma­gi­nari ed eco­no­mie poste­so­ti­che. le isole hanno forme cor­po­ree e vege­tali, lin­gue meticce, cer­niere aperte per un’omertà rotta, boc­che vul­ca­ni­che. hanno gambe per par­tire, mani per dire al mondo capi­ta­li­sta che si fotta e autoim­ploda. le isole sono dei luo­ghi di resi­stenza e, quindi, di nascita. poste­so­tico è creare delle alter­na­tive ai cir­cuiti eco­no­mici capi­ta­li­sti.
creare le isole ha signi­fi­cato inven­tare forme soste­ni­bili di incon­tro, di scam­bio, di soprav­vi­venza.
per fare qual­che esem­pio, tutto il mate­riale usato è stato recu­pe­rato attra­verso canali di cir­co­la­zione gra­tuita di vestiti, abbiamo potuto con­tare sull’ospitalità e la gene­ro­sità di ami­che e amici, sull’accoglienza presso lo spa­zio arti­stico auto­ge­stito «sha­ki­rail». per noi il sog­getto povero è un’isola che s’intreccia ad altri soggetti-isole nella stessa con­di­zione per for­mare un arcipelago-moltitudine, per ribel­larsi al mec­ca­ni­smo di assor­bi­mento neo­ca­pi­ta­li­sta basato sulla rivin­cita: i poveri, i sog­getti oppressi ed eso­tici, con l’obiettivo di ripren­dersi tutto ciò che è stato loro tolto, svi­lup­pano delle rab­bie e delle ten­sioni di autoaf­fer­ma­zione che spesso il capi­ta­li­smo sfrutta e che fini­scono, dun­que, per con­fer­mare gli assetti di potere. le isole hanno il com­pito di rom­pere que­ste dina­mi­che, di assu­mersi la respon­sa­bi­lità della pro­du­zione delle rap­pre­sen­ta­zioni prima che siano assor­bite, di rige­ne­rare con­ti­nua­mente le stra­te­gie.
la frase chi perde trova — che è l’incrocio tra i pro­verbi chi cerca trova et qui perd gagne (qui perde vince) — riflette que­sta spinta di cam­bia­mento di para­digma: che tutte le per­sone la cui sto­ria è segnata da una per­dita tro­vino; che per­dere, per chiun­que, in ogni caso, è una pos­si­bi­lità: non di vin­cere ma di tro­vare. l’ arci­pe­lago sospeso e rea­liz­zato a Paris8 è imma­gi­na­rio ma ha preso esi­stenza a par­tire dalle nostre sto­rie di per­dita: da Lošinj, un’isola dell’arcipelago del Quar­nero, e dalla Sici­lia e i suoi arci­pe­la­ghi. due isole su cui ha vinto, in modi diversi, il capi­tale e in cui oggi ci ricol­lo­chiamo per creare una pro­spet­tiva cri­tica e geo­po­li­tica con­tro occidentale.

Come hanno rea­gito negli spazi uni­ver­si­tari al vostro ordito mate­riale, affet­tivo e disobbediente?

le isole hanno fatto irru­zione nell’università occu­pan­dola come una tem­pe­sta. quando abbiamo pro­po­sto l’esposizione la respon­sa­bile della sicu­rezza era in allerta. ci ha posto una serie di vin­coli, paven­tan­doci la pos­si­bi­lità di azioni van­da­li­che (scio­gli­mento dei nodi, incen­dio) che le isole avreb­bero potuto subire e per­sino il rischio che sospen­derle nella corte interna del terzo piano avrebbe rap­pre­sen­tato una inci­ta­zione al sui­ci­dio.
ogni tem­pe­sta diventa un evento da cui può nascere una tra­sfor­ma­zione solo se si è dispo­sti a viverla. vivere la tem­pe­sta è stata una pra­tica interna ed esterna al lavoro del col­let­tivo. quando abbiamo scritto «se gli arci­pe­la­ghi sono la geo­gra­fia di come siamo, oggi è il giorno della tem­pe­sta» era­vamo all’interno dell’atelier di cucito. la tem­pe­sta che ci ha tra­volte è stata una discus­sione in cui abbiamo cer­cato di chia­rire i modi in cui la rap­pre­sen­ta­zione delle isole potesse cor­ri­spon­dere alle nostre vite.

Che senso ha la tempesta?

la tem­pe­sta ha attra­ver­sato gli spazi dello squat per­ché l’università è un luogo che non la pre­vede, dal momento che non pre­vede la vita. l’università ha la fun­zione di assor­birla attra­verso la ricerca, men­tre la tem­pe­sta, dato che il mondo non è un’aula bianca, cam­bia il pae­sag­gio e tra­sforma le nostre vite in ciò che vor­remmo siano. l’università non rea­gi­sce, assi­mila e sfrutta, le isole si cal­mano, ascol­tano, accu­mu­lano la deter­mi­na­zione e la spar­gono altrove. inve­stendo l’università fran­cese e parigi abbiamo cer­cato di fare in modo che que­sto altrove coin­ci­desse con uno dei cen­tri che le rende subal­terne, dipen­denti e rico­no­scenti al/la capitale.

Punto cen­trale sia in que­sto pro­getto che nel vostro lavoro, è la ses­sua­lità. In che modo le isole ricor­dano la sessualità?

la nostra pro­spet­tiva riguardo la ses­sua­lità si situa in rela­zione al con­te­sto euro­peo bianco occi­den­tale.  in que­sto con­te­sto le donne e gli uomini si pos­sono con­si­de­rare sog­getti che godono di pri­vi­legi bian­chi maschili men­tre chi pro­viene da est e sud dell’unione euro­pea è sot­to­po­sto a varie forme di fem­mi­ni­liz­za­zione. creare il nostro essere donne, quindi, implica entrare in rela­zione con que­sti pro­cessi di fem­mi­ni­liz­za­zione, capire come ci attra­ver­sano.
creare nella pro­spet­tiva del poste­so­tico ha impli­cato ripen­sare le cor­ri­spon­denze tra l’esotico e l’erotico. don’t wanna be your ero­tic, dont’t wanna be your exo­tic scrisse S. Ham­mad, una poe­tessa di Broo­klyn figlia di rifu­giati pale­sti­nesi, con­tro le rap­pre­sen­ta­zioni orien­ta­li­ste e ses­sua­liz­zanti pro­dotte negli iues­sei sulle per­sone e sui luo­ghi che rap­pre­senta.
essere con­sa­pe­voli della dina­mica colo­niale che rico­no­sce la forza ses­suale per sot­to­met­terla e per trarne pro­fitto, emo­tivo o eco­no­mico, è un pas­sag­gio neces­sa­rio per l’indipendenza delle isole. eppure rischia di essere depo­ten­ziante se l’esito di que­sto pro­cesso di libe­ra­zione è la deses­sua­liz­za­zione. la visione poste­so­tica si pro­pone di rico­no­scere la forza ses­suale delle isole, di rap­pre­sen­tarla in modo non inno­cuo e potente.
se all’esotico cor­ri­sponde l’erotico, al poste­so­tico cor­ri­sponde l’amore. nelle nostre gior­nate ha signi­fi­cato entrare in crisi rispetto alle espe­rienze e per­ce­zioni dei nostri corpi in rela­zione ai corpi «neri» e ai corpi «bian­chi», vivere delle pra­ti­che di incon­tro, dei rap­porti d’amore com­plessi in cui abbiamo fatto irrom­pere il riscatto, la per­dita, il con­flitto geo­po­li­tico.
le trecce che con­net­tono le isole tra loro e alla bal­co­nata hanno la forza di rap­pre­sen­tare le ten­sioni tra i ter­ri­tori cor­po­rei e poli­tici: si anno­dano, si sfre­gano, si sosten­gono, uni­scono, rischiano di scio­gliersi, però resi­stono.
le ten­sioni fanno delle isole un arci­pe­lago in lotta.

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