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martes, 2 de noviembre de 2010

"YO SOY LA RABIA" 35 años de la muerte de Pier Paolo Pasolini

 

"Amo la vida ferozmente , desesperadamente.
Y creo que esta ferocidad, esta desesperación me llevará al final.
Amo el sol, la hierba, la juventud.
El amor por la vida ha devenido para mi un vicio mas mortal que la cocaína.
Devoro mi existencia con apetito insaciable

¿Como termina todo esto? Lo ignoro".

 
Pier Paolo Pasolini

ROMA- Con una muerte que podría haber sido sacada de su novela "Una vida violenta" (1959), el escritor italiano Pier Paolo Pasolini fue asesinado el 2 de noviembre de 1975 en la playa de Ostia, el puerto cercano a Roma, sin que todavía hoy se sepa exactamente quiénes fueron sus asesinos.
Hay artistas que su propia forma de vivir tiene tanta importancia a la de hora de considerar su obra como las propias creaciones en sí. Es el caso de Pier Paolo Pasolini, en el que su biografía y su obra tienen casi el mismo peso a la hora de analizar el personaje en su plenitud.

Nacido en 1922 en la ciudad de Bolonia, con el paso del tiempo ha sido finalmente considerado como uno de los pilares esenciales de la cultura italiana del siglo XX. Su pensamiento revolucionario y su forma de vivir libre es indisoluble de su faceta artística. Él mismo se empeñó en conjugarlas en un cuerpo único.

Esa concepción de la vida le llevó no sólo a ser mal visto por la parte más conservadora y burguesa de la sociedad de la época sino que también le trajo como consecuencia ser expulsado del Partido Comunista italiano por “indignidad moral”.

Todos estos aspectos personales de Pasolini no deben ensombrecer su aportación a las artes, capital desde cualquier punto de vista, ya sea técnico o ideológico. En el campo del cine fue capaz de hacer películas como “Accatone”, uno de los ejemplos más exactos y perfectos de lo que se entiende por neorrealismo italiano. “Saló o los 120 días de Sodoma” o “El Evangelio según San Mateo” tratan temas como el sexo, la religión y el poder de una manera pocas veces vista. La ironía y el humor casi surrealista también fueron utilizados para hacer una visión de un mundo cambiante en “Pajaritos y pajarracos”.

Pero no sólo se circunscribe al cine la creación de Pasolini. Su obra literaria, que abarca desde la poesía al ensayo, también ha dejado un legado digno de mención, entre la que destaca la brillante “Chicos del arroyo”, poseedora de una decadente belleza inigualable.

Pero tal día como hoy, 2 de noviembre, de hace 35 años se producía el hecho luctuoso de su muerte, que como no podía ser de otra manera tratándose del intelectual italiano, también está sujeta a la polémica. Su cuerpo apareció brutalmente golpeado, incluso con marcas de haber pasado por encima de su cuerpo un coche, en la ciudad de Ostia.

La confesión de Pino Pelosi, joven con el que había quedado ese día para supuestamente mantener relaciones sexuales, en la que hablaba de una discusión con un fatal desenlace fue inmediatamente aceptada por las leyes del momento y dieron el caso por cerrado. Una decisión tomada más para ser utilizada como juicio a las “desviaciones morales” del cineasta que como consecuencia de una investigación.

Huelga decir que para muchos sectores esa confesión no se ajustaba a la realidad. Con el paso de los años varios testimonios que hasta ahora callaban por miedo, no hay que olvidar lo convulso de la década de los 70 en Italia, han ayudado a dar credibilidad a otras versiones que confluyen en que se trató de una emboscada. El mismo autor confeso del crimen llegó a expresarlo así en el años 2005, tirando por el suelo su propia declaración y a la que se sumó el amigo de Pasolini Sergio Citti, abriendo definitivamente las dudas que rodearon al asesinato.

Hace unos meses se materializó de forma oficial la petición que hasta este momento habían reclamado muchas personas de reabrir el caso, y así poder utilizar todos los adelantos técnicos y las nuevas declaraciones que rompen con lo hasta ahora sentenciado como cierto.

Es cierto que tras haber pasado tantos años no habrá consecuencias legales pero en este caso quizás nos sea este aspecto el más importante. Lo esencial es dar luz a un episodio que siempre ha estado rodeado de dudas y que de ser cierta la versión “oficiosa” de una emboscada con tintes políticos, dejaría una vez más en evidencia la dificultad, el mérito y el peligro que han corrido personajes como Pasolini por pensar, y vivir, de una manera libre y revolucionaria.

viernes, 4 de septiembre de 2009

Oggi come Ieri

Riporto qui di seguito alcuni passi tratti da "Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, Giulio Einaudi Editore, Torino 2003, pp. 74-75 e 92-93-94".


[...] Ed ora essi hanno l'aria di essere soddisfatti! Di trovare che la società italiana è indubbiamente migliorata, cioè è divenuta più democratica, più tollerante, più moderna ecc. Non si accorgono della valanga di delitti che sommerge l'Italia: relegano questo fenomeno nella cronaca e ne rimuovono ogni valore. Non si accorgono che non c'è nessuna soluzione di continuità tra coloro che sono tecnicamente dei criminali e coloro che non lo sono: e che il modello di insolenza, disumanità, spietatezza è identico per l'intera massa dei giovani. Non si accorgono che in Italia c'è addirittura il coprifuoco, che la notte è deserta e sinistra come nei più neri secoli del passato: ma questo non lo sperimentano, se ne stanno in casa (magari a gratificare di modernità la propria coscienza con l'aiuto della televisione). Non si accorgono che la televisione, e forse peggio la scuola dell'obbligo, hanno degradato tutti i giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie: ma considerano ciò una spiacevole congiuntura, che certamente si risolverà - quasi che un mutamento antrolpologico fosse reversibile. [...]

[...] L'Italia cioè non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione, da cui cerca di liberarsi solo nominalmente.
Tout va bien: non ci sono nel paese masse di giovani criminaloidi, o nevrotici, o conformisti fino alla follia e alla più totale intolleranza, le notti sono sicure e serene, meravigliosamente mediterranee, i rapimenti, le rapine, le esecuzioni capitali, i milioni di scippi e di furti riguardano le pagine di cronaca dei giornali, ecc. ecc. Tutti si sono adattati o attraverso il non voler accorgersi di niente o attraverso la più inerte sdrammatizzazione. [...]

15 giugno 1975, in "Corriere della Sera", 9 novembre 1975



[...] E io sono qui, solo, inerme, gettato in mezzo a questa folla, irreparabilmente mescolato ad essa, alla sua vita che mostra tutta la sua "qualità" come in un laboratorio. Niente mi ripara, niente mi difende. Io stesso ho scelto questa situazione esistenziale tanti anni fa, nell'epoca precedente a questa, ed ora mi ci trovo per inerzia: perché le passioni sono senza soluzione e senza alternative. D'altra parte dove fisicamente vivere?
Ho "L'Espesso" in mano, come dicevo. Lo guardo, e ne ricevo un'impressione sintetica: "Come è diversa da me questa gente che scrive delle stesse cose che interessano a me. Ma dov'è, dove vive?" E' un'idea inaspettata, una folgorazione, che mi mette davanti le parole anticipatrici e, credo, chiare: "Essa vive nel Palazzo".
Non c'è pagina, riga, parola in tutto "L'Espresso" (ma probabilmente anche in tutto il "Panorama", in tutto "Il Mondo", in tutti i quotidiani e settimanali dove non ci siano pagine dedicate alla cronaca) che non riguardi solo e esclusivamente ciò che avviene "dentro il Palazzo". Solo ciò che avviene "dentro il Palazzo" pare degno di attenzione e interesse: tutto il resto è minutaglia, brulichio, informità, seconda qualità...
E naturalmente, di quanto accade "dentro il Palazzo" ciò che veramente importa è la vita dei più potenti, di coloro che stanno ai vertici. Essere "seri" significa, pare, occuparsi di loro. Dei loro intrighi, delle loro alleanze, delle loro congiure, delle loro fortune; e, infine, anche, del loro modo di interpretare la realtà che sta "fuori dal Palazzo": questa seccante realtà da cui infine tutto dipende, anche se è così poco elegante e, appunto, così poco "serio" occuparsene.
[...] Gli intellettuali italiani sono sempre stati cortigiani; sono sempre vissuti "dentro il Palazzo". Ma sono stati anche populisti, neorealisti e addirittura rivoluzionari estremisti: cosa che aveva creato in essi l'obbligo di occuparsi della "gente". Ora, se della "gente" si occupano, ciò avviene sempre attraverso le statistiche di "Doxa" o "Pragma" (se ricordo bene i nomi). Per esempio è indecoroso occuparsi di casalinghe, nominare le quale può al massimo mettere in un'ottima disposizione di spirito: le casalinghe, a quanto pare, non possono essere che personaggi comici. E infatti su "L'Espresso" ci si occupa delle casalinghe - quasi animali enigmatici, lontani, perduti nella profondità della vita quotidiana - perchè una statistica di "Doxa" o di "Pragma" ha appurato che il loro voto è stato notevolmente importante per la vittoria comunista alle ultime elezioni. Cosa che ha fatto tremare il Palazzo, causando terremoti nelle gerarchie del potere.
Le casalinghe vivono nella Cronaca, Fanfani o Zaccagnini nella storia. Ma tra le prime e i secondi si apre un vuoto immenso, una "diacronia" che è probabilmente l'anticipazione dell'Apocalisse.
A cosa si deve questo vuoto, questa diacronia? Perchè la cronaca che è sempre stata così importante dal 1945 in poi, è ora chiusa in reparto stagno, relegata in un ghetto mentale? Analizzata, sfruttata, manipolata, è vero, in tutti i modi possibili suggeriti dalle norme del consumo, ma non collegata con la "storia seria", non resa, cioè, significativa?
[...]
"Corriere della Sera", 1° agosto 1975.

lunes, 29 de junio de 2009

UN PAESE DI TEMPORALI E DI PRIMULE

regola (indumenti imbottiti di ovatta, asfalto)

CIANT DA LI CIAMPANIS (versione in friulano)
Co la sera a si pièrt ta li fontanis
il me paìs al è colòur smarit.


Jo i soj lontàn, recurdi li so ranis,
la luna, il trist tintinulà dai gris.

A bat Rosari, pai pras al si scunis:

jo i soj muàrt al ciant da li ciampanis.


Forèst, al me dols svualà par il plan,

no ciampà pòura: jo i soj un spirit di amoùr

che al so paìs al torna di lontàn.



CANTO DELLE CAMPANE (versione in italiano)
Quando la sera si perde nelle fontane,
il mio paese è colore smarrito.

Io sono lontano, ricordo le sue rane,
la luna, il triste tremolare dei grilli.


Suona il Rosario e si sfiata per i prati:

io sono morto al canto delle campane.

Straniero, al mio dolce volo per il piano,

nos aver paura: io sono uno spirito d'amore,


che al suo paese torna di lontano.


P.P.Pasolini, Ciant da li ciampanis, in P.P.Pasolini, La meglio gioventù. Poesie friulane, Sansoni, Firenze, 1954. Traduzione P. P. Pasolini.



CIANT DA LI CIAMPANIS (versione in friulano)

I no rimplàns 'na realtàt ma il so valòur.
I no rimplàns un mond ma il so colòr.

Tornànt sensa cuàrp là che li ciampanis

a ciantavin peràulis di dovèir, sordis coma tons,


i no plans parsè che chel momd a no'l torna pi, ma i plàns parsè che il so

tornà al è finit.

I soj reatàt cun dut, e doma sensa il pi gran ingiàn,

chel ch'al pareva la razon dal vivi me e dal mond;


i torni, passànt sui puns sdrumàs, coma un australiàn.


CANTO DELLE CAMPANE (versione in italiano)

Non rimpiango una realtà ma il suo valore.

Non rimpiango un mondo ma il suo colore.


Tornando senza corpo là dove le campane

cantavano parole di dovere sorde come tuoni


non piango perché quel mondo non torna più,
ma piango perché il suo
tornare è finito.


Sono restato con tutto: solo senza il più grande inganno,

quello che sembrava la ragione del vivere mio e del mondo:

torno, passando sui ponti crollati; come un australiano.

P.P.Pasolini, Ciant da li campanis, in P.P.Pasolini, La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Einaudi, Torino, 1975. Traduzione P.P.Pasolini.