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viernes, 27 de febrero de 2015

stare insieme è straordinario: le tempeste non sono un incidente

abbiamo presentato le isole per la prima volta in italia, al convegno archivi del futuro - postcolonialitalia all'università di padova.

le circostanze che ci hanno spinto a partecipare

chiara è nata a padova e un giorno ci ha inviato la proposta di partecipazione al convegno.

in quel momento vesna era in sicilia con i suoi genitori. dalla macchina si vedevano i campi, il mare, i campi, le scogliere, gli allevamenti di spigole.
“gliel’hai detto?”
“no, diglielo tu”
“prima o poi qualcuno dovrà dirglielo”
“in ogni caso, fra poco, lo vedrà da sola”.
suo padre e sua madre continuavano a lanciarsi occhiate preoccupate, piene di vergogna, risentimento e umiliazione. da questo genere di discorsi si poteva temere il peggio.
a vesna erano sempre piaciute quelle pale bianche lungo le autostrade deserte che alte come giganti giravano come girasoli al vento. ma a sua madre non erano piaciute mai e avrebbe fatto di tutto per portare via quel mostro che avevano installato proprio accanto casa sua.
accanto casa dei genitori di vesna, in una delle aree più ventose dell’isola, è stato installato un impianto di mini eolico. “un’ invasione” di pale di cui la maggior parte dei locali, eccetto i proprietari dei terreni, non poteva prevedere l'installazione. nel piccolo comune i paesani arrivavano uno dopo l’altro a lamentarsi fino a tarda notte:
a chi appartenevano queste pale?
chi le aveva autorizzate?
la prima risposta è stata che per gli impianti di mini eolico, a differenza di quelli più alti e costosi, non è necessaria alcuna autorizzazione. un privato può decidere liberamente di affittare la sua proprietà e di installare una pala che però è visibile, udibile, e spicca alla vista di tutti coloro che abitano intorno, uccelli compresi. 


certo non si tratta di un impatto ambientale disastroso come quelli che avrebbero le piattaforme petrolifere tra le isole egadi, appena autorizzate dal decreto sblocca italia dell'attuale governo renzi e avallate dal presidente della regione crocetta. l'arcipelago delle egadi si vede dall'alto della collina dove si trova la casa dei genitori di vesna, talmente sperduta tra le campagne che non hanno ancora avuto l'allaccio della corrente elettrica, pur avendolo richiesto all'enel da ormai quasi un anno. avevano pensato di installare dei panelli ad energia solare ma l'investimento era troppo alto per farlo subito, insostenibile economicamente.
si sarebbe potuto fare un accordo con il proprietario di quella pala eolica a pochi metri da casa: energia pulita, ecologica.
ma non solo quasi nessuno in paese era al corrente dell'impianto delle pale eoliche, soprattutto la produzione di quella energia non è pensata per essere redistribuita, neanche in parte, nel contesto che la produce, di cui sfrutta il vento.
è solo il business globale del gruppo Espe Srl Grantorto - la cui sede è, appunto, in provincia di padova - e di qualcun altro.
di chi? esattamente non si sa. ma di certo l’energie pulita prodotta dal vento interessa anche gli affaristi locali. un paio di settimane fa il quotidiano online l'Ora ha pubblicato un articolo sul re del vento dei parchi eolici di Alcamo, a qualche decina di km dalla casa dei genitori di vesna, tale Vito Nicastro: affiliato a cosa nostra e ai politici di turno in modo trasversale. Il giornalista descrive così il business: Acquistare i terreni, ottenere le concessioni, impiantare il parco eolico e poi cedere “tutto compreso” ai grandi colossi del settore: più facile a dirsi che a farsi. Eppure tra il 2002 e il 2006 sono centinaia i megawatt che la Eolo, prima grossa società dell’ex elettricista di Alcamo, gira alle grosse aziende mondiali, come gli spagnoli di Endesa o i danesi di Grenntex. Lui stesso sottolinea un po’ spocchioso che quello “fu un periodo d’oro, decine di milioni di euro di guadagno ogni anno.”

“leggendo questo articolo, in un modo diverso da come l'ho sempre capito, ho capito che cosa sia lo sviluppo”, dice vesna.

abbiamo visto la pala eolica impiantata qualche giorno prima del termine per la consegna del contributo al convegno postcolonialitalia di padova. fare ancora una volta esperienza diretta delle contraddizioni dello sviluppo ci ha fatto sentire che era necessario comporre una proposta incentrata su una visione postesotica delle isole, fare arcipelago e riunirci tutte.

fare auto-archivio, fare memoria, fare diario

a padova, il primo giorno del convegno è stato nell’archivio antico di palazzo bo. l'architettura interna delle stanze e gli affreschi raccontano i moti del 1848, l'annessione all'Italia, l'aspirazione dei giovani studenti alla dominazione. un'enorme aula in legno, solenne, un archivio verticale, ordinato e imponente raccoglie i fondi provenienti dalle diverse istituzioni accademiche che formavano l’ateneo durante la repubblica di venezia, poi sotto le dominazioni francese e austriaca, infine come parte dello stato italiano. 

l'archivio rappresenta l'accumulazione del sapere che ha contraddistinto padova rispetto ad altre città. nel testo i fondamenti del capitalismo uno storico di tradizione marxista originario di trinidad, oliver cox, descrive la repubblica di venezia come un modello protocapitalista, un centro commerciale nodale. “storicamente, invece, padova può essere considerata come la berkeley della repubblica di venezia, rappresenta il suo potere culturale, la sede di formazione delle sue élites. venezia è un'isola dominante” dice chiara.
“come lo uk e l'australia... e manhattan è un’isola?”, risponde lara ge.
una dopo l’altra usciamo dalla stanza. l'archivio di palazzo bo ci mette a disagio, ci inquieta la sua estetica, il peso della storia, della storia nazionale, della storia nazionale dell'arte.
attraverso il fare archivio l’occidente si espande e si protegge. l’archivio fa il punto della situazione in modi inequivocabili attraverso la scrittura, le arti e oggi la tecnologia: ciò che è nuovo ha spesso a che fare con la messa in discussione di ciò che è stato ufficialmente deciso, scritto o immortalato prima. ma fare archivio in senso occidentale fa diventare questi passaggi dei mutamenti chiusi: aprire qualcosa di chiuso avviene spesso solo attraverso delle forzature.
fare archivio è una strategia necessaria alla conservazione della storia ufficiale occidentale che perciò influenza anche i processi postcoloniali e la creazione di prospettive postesotiche.
le minoranze non-occidentali trasmettono le loro storie attraverso le pratiche, la vita quotidiana, la cucina e il racconto orale, tutte cose che agiscono un po’ come il vento.
ogni volta che una minoranza non-occidentale si deve relazionare ad una modalità di fare archivio di stampo occidentale è messa di fronte a una sensazione che ha a che fare con la morte.
il contesto occidentale si crede 'vincente' grazie alla chiusura e alla conservazione.
visto da questa angolazione, un modo di vivere non-occidentale è come se fosse destinato alla perdita ma questa perdita è solo un fantasma determinato dal fatto di non vivere come vivono gli occidentali. durante la trasmissione, le pratiche e i sapori non-occidentali cambiano e la capacità di cambiare, in modo positivo, è ciò che garantisce la vitalità di una storia postesotica.
la tensione verso il fare memoria tiene in considerazione il fatto che la vitalità di una pratica e di una storia non-occidentale dipende dal rischio e da quello che in occidente chiamano perdita, che è trasformazione.
siamo coscienti che tutto ciò che sfugge alla documentazione fa spesso parte dei passaggi più sinceri (dati spesso da dei riferimenti anche apparentemente incosci di origine non-occidentale) che permettono la trasformazione delle nostre singole storie in un progetto di vita comunitaria e postesotica. 
il nostro fare auto-archivio perciò dipende dal nostro, in parte, essere posizionate ad occidente e si misura con la nostra mancanza di fiducia rispetto al fare archivio istituzionale.
il video, la scrittura, il web servono per dimostrare la nostra storia e sono efficaci specialmente in ambito occidentale.

forse quello che cerchiamo di comporre non è neanche un auto-archivio. ci impegniamo a lasciare delle tracce per creare delle connessioni. perché la nostra vita possa essere letta, vista, ascoltata, toccata anche da altri e altre, anche in nostra assenza. lasciare delle tracce è postesotico. quanto sforzo ci abbiamo messo per potere ritrovare delle tracce, fare delle connessioni, a partire dalle storie delle nostre madri, dalle nostre nonne. 


eppure le connessioni più aspre a volte sono quelle con le storie dei nostri padri.
il conflitto tra perla e suo padre non s’arresta mai.
lui non perde l’occasione di farle presente l’inutilità del convegno di padova in cui intervengono, oltre a noi, intellettuali di sinistra. tanto si sa che è tutto un magna magna.
magna magna. lui che ha lavorato per le grandi imprese italiane all’estero che sfruttavano l’acqua per creare energia. lui, che suo padre stava nella milizia forestale italiana in etiopia.
sconfortante come il lavoro del padre di perla sia costantemente iscritto in logiche coloniali.
perla è nata in venezuela perché suo padre lavorava come capo cantiere della diga la honda per impregilo, un’impresa del nord d’italia tra le più grandi nel settore delle costruzioni.
i motti del padre di perla, l’anteriore come il più recente, possono essere perfettamente quelli del capitalismo stesso: il progresso, la più grande delle nostre opere e we build value (costruiamo valore).
l’ultimo lavoro prima d’andare in pensione è stato un cantiere a chioggia. dirigeva la ricostruzione della riva proprio mentre un regista, intervenuto pure al convegno di padova, stava girando un film sulle migrazioni cinesi e slave in italia. il padre di perla si lamentava che le riprese interrompessero lo svolgimento dei lavori a discapito della costruzione e del progresso dell’impresa.
un’altra coincidenza, un’altra divergenza.
un ulteriore segnale di come noi possiamo e dobbiamo cambiare il corso della storia e della storia di ognuna.



siamo a padova insieme a pensare e immaginare gli archivi del futuro: questo è il titolo del convegno.
siamo coloratissime come sempre - questa è anche una nostra forza - come sono coloratissime le isole che abbiamo creato, e piene di vita e di storie da raccontare attraverso i vestiti, il sudore, il montaggio video, gli spostamenti. le isole dipendono da una pratica, il cucito, che ha una storia molto lunga. ad esempio, fare memoria con le isole è trasmettere una pratica che ci porta al mercato, ci fa imparare ad imbastire, ad immaginare, come quando si è piccole, cose incredibili che non è vero che non si possono realizzare.

è passato quasi un anno da quando abbiamo fatto le isole, un anno da quei lunghi mesi a parigi tra shakirail e paris8. siamo partite da valencia, verona, pordenone per ritrovarci tutte a padova.
sono passati vari mesi, e molte distanze, non solo geografiche, tra di noi. il congresso sembrava un pretesto per chiarire alcuni dubbi sull’utilità dei nostri progetti e delle nostre pratiche: fare coincidere discorso teorico, pratiche quotidiane e traduzione creativa non è mai così semplice, quando le nostre storie sono così diverse.
durante il viaggio in treno da verona a padova troviamo il momento per iniziare ad esprimere i dubbi reciproci rispetto gli obbiettivi di ognuna: avremmo dovuto pensare a formulare e organizzare la nostra presentazione ma la perdita del senso comune ci ha spinto a chiederci, prima di tutto, chi siamo e cosa cerchiamo nella vita. 
 
dopo questa discussione collettiva la sfiducia è così grande tra di noi che non abbiamo la forza neanche di pensare e di decidere chi parlerà e come. poi tutto ha inizio, e le paure non sono più solo i nostri dubbi “interni” ma sono rivolte verso le aspettative esterne.
come un qualcosa che funziona in maniera indipendente la presentazione prende forma. dietro le porte chiuse dell’archivio, ci mettiamo d’accordo. non è solo l’urgenza o le attese esterne che ci animano, è la responsabilità delle nostre storie. ogni singolarità ha trovato un senso profondo nella creazione del discorso sull’arcipelago che non è mai stato un discorso chiuso. ci rendiamo conto dell’importanza di ognuna nella complessità della nostra proposta, ci accorgiamo che quella proposta si fa nello stesso momento in cui la presentiamo anche grazie all’ascolto e alle domande di chi ci ascolta. intanto costruiamo il nostro autoarchivio nelle riprese video documentative di merisma.

durante e dopo il nostro intervento, ci rendiamo conto che il convegno riunisce persone realmente interessate ai cambiamenti di prospettiva in corso.
ci hanno fatto molte domande. ci hanno chiesto:
che cosa significa fuggire, autoesiliarsi e in che modo le isole riorganizzano le relazioni tra i vissuti diasporici e quelli radicati (tania rossetto)
come le pratiche artistiche e attiviste possano creare un impatto nel pensiero
come il rimosso collettivo in occidente determina  la necessità di archivi ombra (paola zaccaria)
quali connessioni esistono tra postcoloniale, femminismo e anticapitalismo (roberto derobertis)
se ci anima la nostalgia del passato o quella del futuro (roberto beneduce)
in che modo viviamo il mercato e contrastiamo il capitalismo (leonardo de franceschi)
perché, se il mondo si divide in people who don't want to remember e people who can't afford to forget, "chi perde" si ritrova nella seconda categoria
come every day we learn how to live not in a capitalistic way (boaventura de sousa santos)



l'idea di postcoloniale che ognuna di noi aveva prima di questo convegno sicuramente era diversa da quella che ora abbiamo condiviso.
durante un dibattito annalisa oboe ha detto che il postcoloniale è possibile solo quando c’é una collaborazione tra le parti. nel nostro caso, pensare in un modo positivo la relazione tra esuli e radicati, tra sud e nord, tra africa e occidente, tra pratica e teoria, tra scrittura e pratica artistica è l'unica possibilità di trasformazione. questa idea è stata ripetuta spesso durante il congresso: è nella pratica che si scontra con le incertezze e i conflitti quotidiani grazie ai quali ci sforziamo di cambiare.
le incertezze e conflitti non si limitano solo al piano formale di una presentazione ma si rispecchiano nei piccoli gesti inconsci che incorporiamo ed emergono anche nei momenti delle cene, quando siamo assieme.  
pensare che l’arcipelago ci rappresentasse tutte non è venuto da sé, non è stato immediato.
s’è trattato d’un processo nel quale le più continentali/peninsulari di noi, autoesiliate in spagna, si sono portate dietro il carico dello stato nazionale di provenienza e lo hanno rielaborato attraverso strumenti e simbologie riguardanti il corpo e la performance, tornando nel territorio nazionale tutte le volte che entravano in scena.
vederci come un arcipelago è stato un punto d’arrivo per mettere in comune e in relazione le nostre storie.



durante il congresso in più casi si è parlato di rappresentazioni, d’arte e dell’importanza di una critica posizionata rispetto alla produzione di un immaginario “altro”.
ci siamo rese conto che la nostra proposta significa anche non sostenere una divisione tra quello di cui si parla e chi parla. abbiamo ascoltato e visto gli antropologi parlare degli artisti, gli artisti rappresentare i migranti, etc. 
il nostro impegno quotidiano è operare delle connessioni, riequilibrare i rapporti di forza e tradurre questi processi nei linguaggi che conosciamo.

per le isole è sempre, da sempre, stato difficile trovare le parole e sempre, da sempre è stato difficile trovare un modo perché le parole stessero nel processo artistico, insieme al processo artistico. è un processo ampio nel quale siamo immerse, nel quale stiamo perché ci pare buono. le tempeste non sono mai state un incidente. 
la nostalgia è stata una spinta molto forte, un sentimento mobilitante all'inizio del lavoro tra le isole. è stata un'emozione che ci ha orientate a prendere coscienza di quello che era perduto e che avremmo continuato a perdere puntando a nord o a ovest.
nel senso comune la nostalgia è la malattia del ritorno, un'attrazione in sé paradossale:  è la tensione a tornare in un luogo nel quale, in ogni caso, non si riesce a sostare né ad immaginare parti della propria vita. la nostalgia alimenta i ritorni “turistici” o “di dovere” e si fonda sull'idea di essere andate inesorabilmente avanti.
avanti significa anche dimenticare: la nostalgia è un ricordo a metà, quando ti serve dimenticare ti permette di farlo.
la memoria è costante, ci serve ovunque ci spostiamo.
in questo senso si potrebbe dire che la nostalgia è esotica, la memoria è postesotica.
da quando siamo tornate a sud e est, e a tutte le nostre storie, la nostalgia non ha avuto più un ruolo cosi’ importante. abbiamo memoria, e non più solo nostalgia, delle nostre origini.

 

domingo, 15 de febrero de 2015

postcolonialitalia-archivi del futuro

Archivi del futuro: il postcoloniale, l'Italia e il tempo a venire
convegno internazionale postcolonialitalia
Università di Padova, 18-20 febbraio 2015

Archivi del futuro invita studiosi delle scienze umane e sociali a sondare la presenza e le potenzialità del pensiero e delle pratiche d'intervento del paradigma postcoloniale nel contesto italiano. Scopo principale del convegno è promuovere un'analisi dell'impatto della prospettiva postcoloniale su forme, modi e contenuti del sapere nella tradizione culturale italiana, e incoraggiare aperture critiche su un presente che, anche attraverso la letteratura e le arti, si interroga sul proprio futuro.

All'origine del progetto postcolonialitalia, da cui nasce questo convegno, sta la tensione fra il potere normativo dell'archivio e la possibilità di rinnovarne i contenuti, nonché l'urgenza di scardinare una lunga tradizione accademica di protezione delle conoscenze e dei confini delle discipline, che ostacola occasioni di confronto ed eventuale condivisione transdisciplinare di criteri d'indagine e di produzione di significato.

Il convegno sonda inoltre la possibilità di inflettere la prospettiva postcoloniale con uno sguardo dal sud Europa, dove il sud è inteso come spazio teorico d'indagine piuttosto che come un'area geopolitica identificabile o delimitata – un luogo della cultura e della storia connesso alla nozione di sud globale, che fa riferimento alle molteplici realtà postcoloniali del mondo contemporaneo. Da tale prospettiva prova a leggere i nuovi volti di questo paese 'in transito', nell'intento di (ri)aprire i luoghi del sapere, della cultura e della politica.

lunes, 2 de febrero de 2015

Archives of the future: Italy, the postcolonial and the time to come postcolonialitalia international conference

los dias 18-19-20 de febrero estamos en padua presentando "arcipelaghi postesotici: confini italiani a sud e a est, frontiere sessuali e pratiche artistiche transnazionali" en el congreso "archives of the future: Italy, the postcolonial and the time to come" postcolonialitalia international conference.
+ INFO: aquí

 Archives of the Future invites scholars in the human and social sciences to investigate the role and the potential of postcolonial critical theories and practices in/for the Italian context. The main aim of the conference is to sound the impact of the postcolonial paradigm on forms, modes and contents of the Italian academic and cultural tradition, and to promote new critical perspectives that, by making visible the country's (post)colonial legacy, may produce an understanding of the workings of the present as it interrogates its (lack of) future.
The postcolonialitalia research project from which this conference stems investigates the tension between the normative power of the archive and the possibility to renew its contents, in the attempt to unhinge a longstanding academic tradition of defensive protection of disciplinary borders, which forecloses the possibility of confronting and sharing criteria of inquiry and meaning-production across different fields of study and branches of learning.
The conference also aims to inflect the postcolonial paradigm through a perspectival angle which we refer to as the 'European South': a provocative theoretical location, rather than an identifiable geopolitical region, connected to the notion of the 'global South' that has become a shorthand for the postcolonial peoples of the contemporary world. From this angle it tries to bring to light the new faces of a country 'in transit', and to offer new readings of its canons and archives, of the 'locations' of Italian culture.

with the collaboration of

jueves, 28 de agosto de 2014

Un'intervista a ideadestroyingmuros sugli arcipelaghi postesotici


l'articolo dal manifesto clicca QUI

Le rotte cangianti di Ideadestroyingmuros per gli arcipelaghi resistenti
Femminismi. Un'intervista al gruppo di militanza poetica ideadestroyngmuros

ideadestroy­ing­mu­ros, col­let­tivo fem­mi­ni­sta, trans­cul­tu­rale e di mili­tanza poe­tica, mette al cen­tro della pro­pria rifles­sione l’elaborazione dei pro­cessi geo-politici attra­verso il pro­prio vis­suto. Nella scrit­tura uti­liz­zano sem­pre il carat­tere minu­scolo come «segno di un dive­nire mino­ri­ta­rio pos­si­bile che ini­zia dall’estetica della frase». dal 2005 inven­zione e dislo­ca­zione com­pon­gono così la cifra poli­tica scelta dal gruppo che vive in diversi paesi euro­pei e che crea pro­getti attra­verso fitte cor­ri­spon­denze e momenti di vita con­di­visa. L’ultimo è stato in occa­sione della mostra archi­pe­la­ghi in lotta — le isole poste­so­ti­che, accolta nel mag­gio scorso all’università di Paris8, che tut­ta­via risponde a una nar­ra­zione più ampia comin­ciata nel 2013 e che Rachele Bor­ghi si sta impe­gnando a ospi­tare in autunno nel luogo in cui inse­gna: la Sorbona.

voi scri­vete che «exo­ti­que (…) descrive un’economia e ci pro­ietta imme­dia­ta­mente nelle rela­zioni neo­ca­pi­ta­li­ste tra le mul­ti­na­zio­nali e i popoli». Come met­tete in scena le vostre isole post-esotiche e che cosa signi­fi­cano per voi?

sin dall’inizio ci era chiaro che l’esotico fosse una dimen­sione dell’immaginario e un genere di rap­pre­sen­ta­zione delle rela­zioni neo­co­lo­niali. ci inte­res­sava per­ché mostrava l’intreccio tra le poli­ti­che inter­na­zio­nali, le eco­no­mie, le migra­zioni, e le per­ce­zioni di sé e delle alte­rità.
pen­sare il poste­so­tico dell’arcipelago mira a ren­dere visi­bili i con­flitti, le resi­stenze e lo sfrut­ta­mento che inter­cor­rono tra capi­tali e isole, deco­struendo l’immagine sel­vag­gia incon­ta­mi­nata e sen­suale a cui ogni isola è ridotta. l’esotico man­tiene i mondi lon­tani e li con­nette gerar­chi­ca­mente, per­met­tendo all’occidente di cer­care un luogo altro dove imporsi, una cul­tura altra per assol­versi, una spiag­gia per dimen­ti­care la pro­pria sto­ria e il pro­prio quo­ti­diano. la dere­spon­sa­bi­liz­za­zione è con­sen­tita per­ché i mondi sono con­si­de­rati sepa­ra­bili. il turi­smo è un esem­pio lam­pante di que­sta poli­tica. cucire l’arcipelago è stato un modo per rap­pre­sen­tare imma­gi­nari ed eco­no­mie poste­so­ti­che. le isole hanno forme cor­po­ree e vege­tali, lin­gue meticce, cer­niere aperte per un’omertà rotta, boc­che vul­ca­ni­che. hanno gambe per par­tire, mani per dire al mondo capi­ta­li­sta che si fotta e autoim­ploda. le isole sono dei luo­ghi di resi­stenza e, quindi, di nascita. poste­so­tico è creare delle alter­na­tive ai cir­cuiti eco­no­mici capi­ta­li­sti.
creare le isole ha signi­fi­cato inven­tare forme soste­ni­bili di incon­tro, di scam­bio, di soprav­vi­venza.
per fare qual­che esem­pio, tutto il mate­riale usato è stato recu­pe­rato attra­verso canali di cir­co­la­zione gra­tuita di vestiti, abbiamo potuto con­tare sull’ospitalità e la gene­ro­sità di ami­che e amici, sull’accoglienza presso lo spa­zio arti­stico auto­ge­stito «sha­ki­rail». per noi il sog­getto povero è un’isola che s’intreccia ad altri soggetti-isole nella stessa con­di­zione per for­mare un arcipelago-moltitudine, per ribel­larsi al mec­ca­ni­smo di assor­bi­mento neo­ca­pi­ta­li­sta basato sulla rivin­cita: i poveri, i sog­getti oppressi ed eso­tici, con l’obiettivo di ripren­dersi tutto ciò che è stato loro tolto, svi­lup­pano delle rab­bie e delle ten­sioni di autoaf­fer­ma­zione che spesso il capi­ta­li­smo sfrutta e che fini­scono, dun­que, per con­fer­mare gli assetti di potere. le isole hanno il com­pito di rom­pere que­ste dina­mi­che, di assu­mersi la respon­sa­bi­lità della pro­du­zione delle rap­pre­sen­ta­zioni prima che siano assor­bite, di rige­ne­rare con­ti­nua­mente le stra­te­gie.
la frase chi perde trova — che è l’incrocio tra i pro­verbi chi cerca trova et qui perd gagne (qui perde vince) — riflette que­sta spinta di cam­bia­mento di para­digma: che tutte le per­sone la cui sto­ria è segnata da una per­dita tro­vino; che per­dere, per chiun­que, in ogni caso, è una pos­si­bi­lità: non di vin­cere ma di tro­vare. l’ arci­pe­lago sospeso e rea­liz­zato a Paris8 è imma­gi­na­rio ma ha preso esi­stenza a par­tire dalle nostre sto­rie di per­dita: da Lošinj, un’isola dell’arcipelago del Quar­nero, e dalla Sici­lia e i suoi arci­pe­la­ghi. due isole su cui ha vinto, in modi diversi, il capi­tale e in cui oggi ci ricol­lo­chiamo per creare una pro­spet­tiva cri­tica e geo­po­li­tica con­tro occidentale.

Come hanno rea­gito negli spazi uni­ver­si­tari al vostro ordito mate­riale, affet­tivo e disobbediente?

le isole hanno fatto irru­zione nell’università occu­pan­dola come una tem­pe­sta. quando abbiamo pro­po­sto l’esposizione la respon­sa­bile della sicu­rezza era in allerta. ci ha posto una serie di vin­coli, paven­tan­doci la pos­si­bi­lità di azioni van­da­li­che (scio­gli­mento dei nodi, incen­dio) che le isole avreb­bero potuto subire e per­sino il rischio che sospen­derle nella corte interna del terzo piano avrebbe rap­pre­sen­tato una inci­ta­zione al sui­ci­dio.
ogni tem­pe­sta diventa un evento da cui può nascere una tra­sfor­ma­zione solo se si è dispo­sti a viverla. vivere la tem­pe­sta è stata una pra­tica interna ed esterna al lavoro del col­let­tivo. quando abbiamo scritto «se gli arci­pe­la­ghi sono la geo­gra­fia di come siamo, oggi è il giorno della tem­pe­sta» era­vamo all’interno dell’atelier di cucito. la tem­pe­sta che ci ha tra­volte è stata una discus­sione in cui abbiamo cer­cato di chia­rire i modi in cui la rap­pre­sen­ta­zione delle isole potesse cor­ri­spon­dere alle nostre vite.

Che senso ha la tempesta?

la tem­pe­sta ha attra­ver­sato gli spazi dello squat per­ché l’università è un luogo che non la pre­vede, dal momento che non pre­vede la vita. l’università ha la fun­zione di assor­birla attra­verso la ricerca, men­tre la tem­pe­sta, dato che il mondo non è un’aula bianca, cam­bia il pae­sag­gio e tra­sforma le nostre vite in ciò che vor­remmo siano. l’università non rea­gi­sce, assi­mila e sfrutta, le isole si cal­mano, ascol­tano, accu­mu­lano la deter­mi­na­zione e la spar­gono altrove. inve­stendo l’università fran­cese e parigi abbiamo cer­cato di fare in modo che que­sto altrove coin­ci­desse con uno dei cen­tri che le rende subal­terne, dipen­denti e rico­no­scenti al/la capitale.

Punto cen­trale sia in que­sto pro­getto che nel vostro lavoro, è la ses­sua­lità. In che modo le isole ricor­dano la sessualità?

la nostra pro­spet­tiva riguardo la ses­sua­lità si situa in rela­zione al con­te­sto euro­peo bianco occi­den­tale.  in que­sto con­te­sto le donne e gli uomini si pos­sono con­si­de­rare sog­getti che godono di pri­vi­legi bian­chi maschili men­tre chi pro­viene da est e sud dell’unione euro­pea è sot­to­po­sto a varie forme di fem­mi­ni­liz­za­zione. creare il nostro essere donne, quindi, implica entrare in rela­zione con que­sti pro­cessi di fem­mi­ni­liz­za­zione, capire come ci attra­ver­sano.
creare nella pro­spet­tiva del poste­so­tico ha impli­cato ripen­sare le cor­ri­spon­denze tra l’esotico e l’erotico. don’t wanna be your ero­tic, dont’t wanna be your exo­tic scrisse S. Ham­mad, una poe­tessa di Broo­klyn figlia di rifu­giati pale­sti­nesi, con­tro le rap­pre­sen­ta­zioni orien­ta­li­ste e ses­sua­liz­zanti pro­dotte negli iues­sei sulle per­sone e sui luo­ghi che rap­pre­senta.
essere con­sa­pe­voli della dina­mica colo­niale che rico­no­sce la forza ses­suale per sot­to­met­terla e per trarne pro­fitto, emo­tivo o eco­no­mico, è un pas­sag­gio neces­sa­rio per l’indipendenza delle isole. eppure rischia di essere depo­ten­ziante se l’esito di que­sto pro­cesso di libe­ra­zione è la deses­sua­liz­za­zione. la visione poste­so­tica si pro­pone di rico­no­scere la forza ses­suale delle isole, di rap­pre­sen­tarla in modo non inno­cuo e potente.
se all’esotico cor­ri­sponde l’erotico, al poste­so­tico cor­ri­sponde l’amore. nelle nostre gior­nate ha signi­fi­cato entrare in crisi rispetto alle espe­rienze e per­ce­zioni dei nostri corpi in rela­zione ai corpi «neri» e ai corpi «bian­chi», vivere delle pra­ti­che di incon­tro, dei rap­porti d’amore com­plessi in cui abbiamo fatto irrom­pere il riscatto, la per­dita, il con­flitto geo­po­li­tico.
le trecce che con­net­tono le isole tra loro e alla bal­co­nata hanno la forza di rap­pre­sen­tare le ten­sioni tra i ter­ri­tori cor­po­rei e poli­tici: si anno­dano, si sfre­gano, si sosten­gono, uni­scono, rischiano di scio­gliersi, però resi­stono.
le ten­sioni fanno delle isole un arci­pe­lago in lotta.

miércoles, 21 de mayo de 2014

20 maggio -arcipelaghi postesotici

aller retour

il metro saint-denis, ligne 13, è diventato una frontiera. intermittente, a volte visibile, a volte invisibile. arbitraria.
mi era già capitato di vedere la fermata in stato di semiassedio da parte di operatori della RATP o di poliziotti, pronti a intrappolare chi sale dalle scale o chi ha appena passato la tournelle del biglietto.
a volte mi sono sembrati addirittura nascosti dietro le colonne.
oggi sono saliti sul treno.
è stata una scena feroce.
Basilique de Saint-Denis: si aprono le porte, sale un funzionario della RATP, nero. Non fa niente, si guarda intorno, da fermo. Ho il tempo di pensare che sia un controllore, non lo sia, che sia solo qualcuno che, finito il suo turno, rientra da qualche parte. Intorno personne bouge. Poi, invece, dice a tutti di prendere le titre de transport. Apro il portafogli, prendo i dieci biglietti del carnet, glieli mostro tutti: non so quale sia quello di oggi. Non mi fa problemi, procede. Immagino che debba fare questo lavoro, ma evidentemente non vuole prendersela con nessuno. Accanto a me un tipo addormentato, ubriaco o nonso, ripiegato su di sé, pare maghrebino. Una signora bianca, forse maghrebina, sulla mezza età gli si avvicina. Lo guarda cercando di capire se sta bene. Penso sia qualcuno che lo vuole aiutare, forse una del quartiere, una conoscente. Dopo qualche istante, lo scuote e gli dice: on dort pas ici. E mostra il suo distintivo al ragazzo con gli occhi ancora chiusi. Era una poliziotta. Non potevo crederci. Vestita come mia madre.
Inizia ad accanirsi contro il tipo mentre il suo collega inizia ad accanirsi contro chi non ha il biglietto. E’ un’ escalation di violenza.Scoppia una rissa dall’altra parte del vagone. Tutta l’attenzione si sposta da quella parte, compresi operatori e poliziotta. La bagarre è tra un ragazzo nero e uno arabe. E’ tremendo vedere i rappresentanti dell’ordine e i ragazzi che si bagarrent appartenere a delle minoranze, a diaspore diverse.
Il ragazzo accanto a me intanto si è svegliato, alzato, è riuscito a scappare.
bisogna prendere coscienza e dire che le isole, ancorate per ora al bâtiment B2, sono appena al di là o appena al di qua di una frontiera.  
al di là e al di qua della frontiera:  la settimana scorsa per m. c’è stato il carcere, per altri un poste de police, per altri un centro di identificazione ed espulsione, per j. tantissime lacrime e rabbia, per a. è iniziato l'incubo, per me oggi questa visione e presa di coscienza, e quasi per tutti al di qua e al di là di questa frontiera c'è l’istituzione universitaria, la lingua francese, i libri, le discipline.

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5 maggio Valencia

il giorno dell'installazione dell'arcipelago alcune di noi erano a parigi al metro saint-denis université. altre erano a valencia a casa di kiarucci.
a calle cuba tutte in cerchio, dovevamo fare degli esercizi di voce. inizia merucci, poi jimena, giulia, e quando tocca a me sento ale e aziz che mi chiamano preoccupati. 
hanno preso m...la polizia, non so dove l'hanno portato. è stato un'incubo, non sapevo cosa fare. 
senza tutto l'appoggio e l'amore non so come avrei, avremmo fatto, a cercarlo in un posto dove solitamente portano i tipi senza documenti, dove c'e' anche il cie, dove m. ha giá passato piú di 20 giorni l'ultima volta che é stato preso. 
siamo andati tutti, in 10, peró sembravamo un'esercito di 10.000
all' entrata c'è una sbarra con due sbirri, chiediamo, ma l'informazione non si puó dare: é sparito nel nulla, non esiste piú. 
la notte l'ho passata con gli occhi aperti, non riuscivo né a dormire, né a piangere. pensavo che ci saremmo rivisti forse in senegal.il cellulare spento, baye si mobilita per cercare il numero del suo avvocato, l'unico che puó avere contatti con la "persona invisibile".inizio a fare telefonate al suo avvocato, ogni volta mi lascia piena di ansie e dubbi e non mi dá informazioni concrete.
l'ultima telefonata mi dice che é fuori. siamo troppo felici di vedere che sta bene, pare un miracolo che in sole 24 ore sia fuori
mi sembrava di aver perso un anno di vita.
andiamo tutte a cercarlo alla fermata dell'autobus e sorride.

c'e' polizia in ogni angolo del quartiere, e a volte penso che forse c'era anche prima ma non ci avevo fatto troppo caso, visto che posso camminare senza pensare di avere paura che mi fermino.
da questo evento in poi, m. ha iniziato a usare vestiti baye fall coloratissimi. mi ha sorpreso visto che prima sembrava avesse uno style piú occidentale, una maniera per passare piú inosservato.
forse quando non hai piú niente da perdere é quello il momento in cui esci in strada a rappresentare e a esprimerti.



15 maggio, paris saint-denis université

on rentre dans le métro
contrôle policier
une femme policière d'origine africaine vient envers moi
contrôle total, j'avais rien sur moi, juste ma carte universitaire 
quand même elle est restée là, une vingtaine de minutes, pour me checker partout. tous les flics étaient des blancs. ils rigolaient de nous. quand même. en plus. 
et puis ils ont pris les papiers à m., il est citoyen français, mais black, des îles.
ils l'ont pris.
il faut qu'on trouve: c'est tout.

je suis trop énervée.pour avoir trop dit: qui perd trouve, 
et après voir qu'il y a des gens des îles qui doivent : tout perdre, tout le temps.
ça me fait mal 
sur mon visage, maintenant, il y a des larmes et du sel partout
je pleure et mon visage est comme une plage, face à la mer
j'ai que du sel partout
peut être que par rapport à la géographie des îles, il fallait penser aux larmes
tu vois, pourquoi la géographie des îles nous appartient-elle?
c'est de ça qui parlent nos archipels
les générations changent
et j'y retrouve toujours la même histoire.

la diaspora, toujours la même
l'économie, toujours la même
les papiers, toujours la même histoire de mes grands parents
il faut que ça arrête
je n'ai pas d'autres envies

il faut que ça arrête
je n'ai pas d'autres envies
il faut qu'on transforme tout
dans beaucoup de capitales européennes, comme à paris, qui sont les sièges du système capitaliste, il n'y a pas de sel.
donc, si les larmes nous renvoient au sel de la mer, pourquoi leurs géographies, leurs perceptions des choses, douces, devrait-elles nous appartenir ?

war ina babylon

                                                                                               paris, université paris8