13 ottobre2013
volevamo stupirvi iniziando con un bell’ esempio di autorappresentazione,
facendo un’orgia con giulietta ma visto che giulietta cade a pezzi,
come abbiamo letto ieri sul giornale di verona - sta perdendo una mano
e la tetta sinistra- vi presentiamo il collettivo di cui facciamo parte.
ne facciamo parte noi e altre ragazze che si trovano in questo momento
a valencia. si chiama ideadestroyingmuros ed è un collettivo
transculturale di militanza poetica e attivismo dis/educativo che si
occupa di pratiche artistiche, autoantropologia e sessualità. nasce
nel 2005 in italia, a venezia.
tra friuli e veneto è il contesto sociale in cui ci siamo incontrate, un ambiente di
merda, una zona grigia in cui ci siamo sentite per diverso tempo e per
diversi motivi non desiderate, parti di un progetto capitalista filoamericano
che si stava localmente costruendo in relazione frontaliera al socialismo
autogestito jugoslavo e in una relazione complessa rispetto al sud italia.
stare insieme in questo territorio iper-produttivo e individualista
aveva a che vedere con un’idea folle e nostalgica di collettività
che poi nel tempo si è concretizzata sempre di più.
durante il ventennio berlusconiano abbiamo
scelto di emigrare perché ad un certo punto ci è stato chiaro che non
avremmo potuto realizzare i nostri sogni. non si è trattato semplicemente
di una scelta, noi l’abbiamo vissuta come una forma di autoesilio
che ha rappresentato un fattore di emancipazione positiva e radicale.
proveniamo da zone periferiche e ci siamo spostate verso dei contesti
che ci sembravano “centrali” che ci attraevano per le possibilità
che potevano darci, oppure abbiamo preferito traslocare in luoghi immaginati,
in un primo momento, come marginali.
spostarsi dall’italia del nord alla spagna, verso i primi anni 2000,
ha comportato anche in modo imprevedibile dei cambiamenti nel vivere
la sessualità e nella possibilità di vivere l’omosessualità in
una forma visibile e pubblica.
questo processo ci ha reso coscienti di come alcune opportunità siano comunque connesse
a contesti capitalisti che ne articolano e strutturano le forme ed i
limiti e soprattutto come l’economia rosa si appropri delle lotte
depoliticizzandole ed assorbendone la potenza, invisibilizzando i movimenti
e gli attivismi reali e ponendosi in opposizione ad altri contesti etnicizzati,
razzializzati e considerati incivili.
in questo senso, dunque, anche l’omosessualità
è diventata per alcune di noi, in spagna, un centro in quanto potenzialmente omologante. pertanto rispetto alle attuali politiche statali
lgbt, scegliamo di situarci in quanto sessualità diasporiche.
l’acquisizione di questo posizionamento rappresenta una forza anche
rispetto al contesto italiano dove, ancora oggi, viviamo in un modo
molto marcato la pressione sociale e cattolica verso l’eterosessualitá
obbligatoria. la forza consiste nell’avere potuto creare altrove,
in questo esilio volontario, strumenti di contrasto a questo regime
con la consapevolezza che sarebbe inutile ridurre la lotta alla rivendicazione
di una identità omosessuale istituzionalizzata.
pertanto, il nostro sguardo sulla politica economica dei corpi negli
USE resta scettico.
anton
siamo qui oggi presenti in quanto battonz.
battonz è una pratica di resistenza femminista quotidiana nata e diretta
contro, il contesto sessuofobico delle società del nord. battonz è
una parola che ci siamo inventate quando avevamo più o meno 17 anni.
è una rivisitazione della parola battona, marpiona, che ci ricorda
le prostitute che vedevamo lungo una strada grigia che univa i paesi
dove vivevamo, la pontebbana. una strada battuta anche da pia covre
e carla corso, pioniere nella lotta per i diritti civili delle prostitute.
l’attitudine battonz e un’arma di autopotenziamento. è un’ attitudine positiva e sessuale
verso la vita, che mi ha salvato la vita o meglio mi ha salvato da una
vita triste, grigia, anestetizzata ma anche privilegiata che mi offriva
il contesto geo-politico del nord est italiano dal quale provengo. con
il tempo e nel corso degli spostamenti l’attitudine battonz è diventata
un modo per entrare in relazione con tutti i nuovi contesti in cui ci
trovavamo valorizzando quello che in noi (saperi, strumenti, esperienze,
corpi) può esercitare un potere di attrazione sessuale, amoroso, sovversivo
verso gli altri.
per tutti questi motivi l'attitudine battonz è anche una questione di stile, che
grazie all'utilizzo del corpo e di un'estetica battona diventa una forma
di fare micropolitica femminista. il renderci visibili in questo territorio
in una certa forma ha permesso di confondere, stravolgere, sovvertire
un immaginario standard di omologazione generale, dove più ci si vede
uguali più ci si sente vicini ma anche più tristi. visto che quella
che ci proponevano non era la nostra idea di stile avevamo bisogno di
sovvertirla, per questo usiamo l'autorappresentazione e l'essere eccentriche
come pratica dissidente e rivoluzionaria. quello che noi mostriamo al
mondo è anche quello che noi amiamo. ciò che è diverso/a e strano/a.
quando parlo di stile non mi riferisco alla moda in vigore e al lusso
delle grandi marche e neanche ai canoni estetici e alle pressioni sociali
esercitate sul corpo femminile che il ventennio berlusconiano ha riproposto
per troppo tempo, ma penso a come immaginarmi una maniera di stare al
mondo.
concretamente, parlando di pratiche anticapitaliste ma imprescindibili
per uno style battonz eccentrico, una è sicuramente il riciclaggio,
che è un processo per ridare vita o nuova utilità a un oggetto, capo,
tessuto etc. già esistente ma obsoleto. come farlo resuscitare : reinventarsi,
reinventando, anche divertendosi, senza spendere troppi soldi, per esempio,
incontrandoci in casa con altre amiche per scambiarsi i vestiti al posto
di andare al centro commerciale.
la pratica del riciclaggio ci aiuta e ci insegna a decontestualizzarci,
a guardare con altri punti di vista, ma anche a dar valore alle cose
lasciate da parte per rianimarle. sviluppando la nostra capacità eclettica
usiamo l'autorappresentazione anche come pratica post-esotica.
vesna
Autorappresentarsi battonz è un modo di
essere, di vivere, di entrare in relazione con le persone, con le situazioni.
Ma non è universale. La forza delle battonz è segnare e attraversare
i corpi come fossero territori. Per questo le esperienze di spostamento
sono così importanti nei nostri vissuti.
Io, qui, sono una battonz terrona. Ci ho pensato
molto mentre mi preparavo a quest’incontro con voi, oggi. Sono arrivata qui per studiare antropologia e mi ritrovo vestita
da nativa. E’ stato un giro lungo. Partendo dal lavoro che stiamo
portando avanti con Benazir (le immagini che scelgo per i video) e con
IDM, penso che la mia forza sta nel rappresentare ai Nord che ho scelto
di attraversare, con cui scelgo di configgere, il Sud per come l’ho
vissuto, voluto perdere e lo vivo ancora oggi.
Ho preso coscienza che posso definirmi così durante i lunghi
mesi di vita a verona, in cui sono venuta a sapere con mia sorpresa
che non solo esistono espressioni come “terrona”, “fare una terronata”,
“fare come i terroni”, ma circolano nel linguaggio corrente ed appartengono
al senso comune. Probabilmente nella quasi totalità delle occasioni
non hanno un portato discriminatorio nei confronti di chi proviene dal
sud italia. Non c’è dubbio, infatti, che rispetto a chi proviene
da altri continenti, si tratta di una differenza che ha diverse condizioni
di visibilità e tende ad essere ad uno sguardo superficiale del tutto
inefficace.
Ho capito quale è per me il senso della fiction come pratica politica,
della performance, del performare quotidianamente un’identità, una
definizione, un orientamento sessuale. L’ho fatto infinite volte,
l’ho detto anche, l’ho persino scritto. Però pensando a cuntemporary,
la fiera delle meraviglie, mi pare di avere per la prima volta colto
fino in fondo che cosa significa. Lo colgo attraverso questa esperienza
perché in questa circostanza performo una differenza poco affermata
o affermativa, perché è una differenza “del passato”, su cui il
politically correct lavora da più tempo, perché è una differenza
che è considerata in generale meno sostanziale di altre. Alla fine
sei italiana. Impegnati, puoi integrarti benissimo qui. Nessuno lo noterà.
Non conta più se sei del nord o del sud. Sono luoghi diversi, certo,
però alla fine: dipende da te. Conosciamo tutti imprenditrici del sud,
e poveracci del nord, ormai. Ormai poi in Italia la crisi è ovunque,
al nord non c’è più l’opportunità di lavoro di un tempo.
Io poi sono del sud? Di quale sud? In che senso? Voglio essere definita così? E’ così importante per me essere
di questo fantomatico sud? No, in sé non lo è. Direi non lo è affatto.
Emigrare contiene in sé anche il desiderio di non appartenere più,
di trasformarsi, di non essere più quella di un tempo, quella di un
luogo.
Qui, arriva quindi la presa di coscienza del valore estremo che ha
fictionare, performare, inventare un’estetica terrona che chiameremo
postesotica.
Quale senso ha, a questo punto, inventarsi un’estetica terrona postesotica?
Probabilmente, se non avessi incontrato le altre battonz, se non avessimo
fatto con loro un lavoro profondo instancabile doloroso infinito, se
fossi riuscita ad integrarmi in questo nord senza problemi, se non avessi
vissuto delle esperienze incredibili di disorientamento, se non avessi
dovuto chiedermi mille volte quale è la realtà perché non lo capivo
più, se non avessi dovuto restare imbambolata e muta davanti ai gesti
o alle parole delle persone perché non ne coglievo il senso, né immediato
né profondo, penserei che l’estetica terrona non serve.
Invece ho incontrato le battonz e ho vissuto tante volte queste sensazioni.
Dunque penso che non potendo, strutturalmente, né volendo, tenacemente,
integrarmi, devo marcare una differenza. Quale è la sostanza di
questa differenza? E’ da inventare volta per volta. A seconda delle
circostanze. L’autorappresentazione terrona postcoloniale non ha un
contenuto fisso. Né posso spiegarne le componenti, in questo momento,
più di tanto. Per più ragioni: perché una cultura non può essere
descritta, ma solo agita, incarnata, vissuta; perché se spiegassi ora,
sarebbe come mostrarvi tutte le mie armi. Come farei quando mi attaccherete?
L’estetica terrona postesotica non devo inventarla
dal niente, dal nulla. Esiste e non esiste. Le differenze non esistono,
si possono soltanto fare esistere. Ci si può appoggiare su alcuni stereotipi
e luoghi comuni. Mi serve, quando serve, per dire in un dato momento:
io non sono come voi, come la gente di qui. Ho un’altra storia, e
quest’altra storia mi autorizza e mi dà la forza di : stupirmi ancora
di quello di cui voi non vi stupite più. Cioè: io posso sognare un
mondo diverso perché vengo da un mondo diverso. Questo non implica
che il mondo diverso da cui io vengo sia migliore o peggiore. Implica
solo che è un altro. (forse un tempo questa cosa era data dallo schieramento
politico, “io sono comunista, io sono fascista”, etc. Poi con la
rivoluzione femminista, questa "fede" ha iniziato a dovere
partire dai corpi e dalle pratiche: io sono donna, io sono lesbica etc
ma il mio percorso di vita, oggi, qui con voi, mi induce a scegliere
un’altra prospettiva)
Un’alterità che io posso fictionare, non nel senso di camuffare,
ma nel senso di fare uscire dalle mie origini i significati che mi servono
di più per vivere il mondo secondo i miei desideri. E' un trucco, una
strategia.
dana
per noi si tratta di trovare il modo di rappresentare
le relazioni tra la sessualità e la razza, attraverso una prospettiva
pro-sex e situata.
i femminismi pro-sex vedono nella sessualità un
campo di sperimentazione da occupare in modo radicale. “situarsi”
è una pratica importante specialmente per rendere visibili i limiti,
propri ma anche sociali, di un dato contesto geopolitico di riferimento.
uno dei nostri obiettivi è mettere in discussione
la gerarchia tra i sessi, quindi la gerarchia tra razze, su cui si fonda
la conservazione del potere nel contesto europeo contemporaneo: che
è bianco e maschile.
ogni tipo d’identità è
relazionale, lo sbiancamento delle minoranze ha luogo in relazione agli
“altri” cioè adottando il punto di vista e le gerarchie razziali
decise dalla maggioranza dominante. questo rivela la vera natura del
processo di razzializzazione che ha a che fare con le gerarchie tra
razze piuttosto che solo evidentemente con la pigmentazione della pelle.
se riguardo al razzismo vogliamo parlare di colore bisogna capire se
si tratta di colore apparente, potenziale, immaginario o reale. in questo
caso le nostre pratiche e le nostre autorappresentazioni si situano
tra l’immaginario e il reale. se vogliamo parlare di colore “reale”
lo facciamo dando spazio e potenza al nero. chi amo è nero, le battonz
per me sono nere. a roma capitale d’italia e dell’impero, mia madre
è nata nera, perché faceva parte di una comunità etnica minoritaria
che ha subito lo sbiancamento. tutto l’est e tutti i sud che si spostano
ad ovest e a nord: sono neri.
invece se qui, cioè a nord, vogliamo parlare di colore
“reale”, cioè apparente, puntiamo sull’autocritica e proponiamo
la messa in gioco della capacità di “perdere” della donna bianca:
perdere le ossa, perdere il freddo, perdere il bianco, perdere il nord
significa mischiarsi con altro, a volte è il morbido, il calore, il
nero, il sud e i sud del mondo. la ricerca per noi serve a trovare con
questi altri mondi dei nuovi punti in comune, reali e immaginari.
certe pratiche battonz sono
costituite dal desiderio di rubare al nord e di condividere. sentiamo il desiderio di aprire alle
altre questa rivincita sul mondo, personale ma anche collettiva, e di
fare in modo che questa nuova percezione delle alternative reali che
abbiamo stravolga la normalità che ordina le regole di ogni “famiglia”
in relazione al modello di sviluppo occidentale.
come vivere delle forme di sessualità dissidenti?
e perché rappresentarle? perché esiste qui una sessofobia dilagante
che è angosciante. poi perché il fatto di mischiarsi con persone dello
stesso sesso o con persone di diverse provenienze crei una altra storia dell'arte.
come se in questo momento la storia dell’arte venisse investita dalla
storia di una umanità postesotica. la nostra storia è già fatta di
auto-rappresentazioni post-esotiche che servono a tracciare nuovi percorsi
artistici, che sono anche radicalmente in connessione tra loro e anticapitalisti.
come dire: siamo con voi ma la storia va anche nella nostra direzione.
le storie dei luoghi sono le storie di corpi che
s’incontrano e che si dividono, le storie che riguardano i nostri
corpi e i corpi che amiamo sono storie di frontiera. di frontiere economiche,
linguistiche, geopolitiche e sessuali. un posizionamento frontaliero
invece di essere un problema, ci aiuta a trovare un nuovo spazio auto-critico
e di autodeterminazione per tutto ciò che ha una forza postesotica.
un nuovo spazio che è dunque anche fisico, artistico, relazionale,
auto-rappresentativo e no wad, senza guinzaglio.
azioni:
dildo rosso anale con inchiostro nero: maneggiato da vesna come fosse una penna. poi mentre anto parla,
vesna apre l’inchiostro, lo mette nella mooncup, intinge il dildo.
mentre parla vesna, dana disegna con le dita sul cuore-tatuaggio della
anto un'explosione, perché l’idea di sud si lega alle ammazzate,
alle bombe, ricorda le stragi di mafia, il love, il sangue, tutto.
vesna con il dildo scrive “chi perde trova”
vicino alla pistola tatuata sulla schiena di dana. se tu nasci in una situazione di perdita
o in una situazione perdente la frase “chi perde trova” ha il senso
di risignificare tutto. la pistola ha il senso di riappropriarsi di
una violenza contestuale o, dall’altra parte, di proporre una violenza
oppositiva.
a verona in questo momento diventa
importante autorappresentarci, demolendo la loro idea di razzismo e
di omofobia, che è un'idea fatta espressamente per impedirci di stare
insieme
dunque significa per noi anche
parlare di amore