abbiamo presentato le isole per la prima volta in italia, al convegno archivi del futuro - postcolonialitalia all'università di padova.
le circostanze che ci hanno spinto a partecipare
chiara è nata a padova e un giorno ci ha inviato la proposta di partecipazione al convegno.
in quel momento vesna era in sicilia con i suoi genitori. dalla macchina si vedevano i campi, il mare, i campi, le scogliere, gli allevamenti di spigole.
“gliel’hai detto?”
“no, diglielo tu”
“prima o poi qualcuno dovrà dirglielo”
“in ogni caso, fra poco, lo vedrà da sola”.
suo padre e sua madre continuavano a lanciarsi occhiate preoccupate, piene di vergogna, risentimento e umiliazione. da questo genere di discorsi si poteva temere il peggio.
a vesna erano sempre piaciute quelle pale bianche lungo le autostrade deserte che alte come giganti giravano come girasoli al vento. ma a sua madre non erano piaciute mai e avrebbe fatto di tutto per portare via quel mostro che avevano installato proprio accanto casa sua.
accanto casa dei genitori di vesna, in una delle aree più ventose dell’isola, è stato installato un impianto di mini eolico. “un’ invasione” di pale di cui la maggior parte dei locali, eccetto i proprietari dei terreni, non poteva prevedere l'installazione. nel piccolo comune i paesani arrivavano uno dopo l’altro a lamentarsi fino a tarda notte:
a chi appartenevano queste pale?
chi le aveva autorizzate?
la prima risposta è stata che per gli impianti di mini eolico, a differenza di quelli più alti e costosi, non è necessaria alcuna autorizzazione. un privato può decidere liberamente di affittare la sua proprietà e di installare una pala che però è visibile, udibile, e spicca alla vista di tutti coloro che abitano intorno, uccelli compresi.
certo non si tratta di un impatto ambientale disastroso come quelli che avrebbero le piattaforme petrolifere tra le isole egadi, appena autorizzate dal decreto sblocca italia dell'attuale governo renzi e avallate dal presidente della regione crocetta. l'arcipelago delle egadi si vede dall'alto della collina dove si trova la casa dei genitori di vesna, talmente sperduta tra le campagne che non hanno ancora avuto l'allaccio della corrente elettrica, pur avendolo richiesto all'enel da ormai quasi un anno. avevano pensato di installare dei panelli ad energia solare ma l'investimento era troppo alto per farlo subito, insostenibile economicamente.
si sarebbe potuto fare un accordo con il proprietario di quella pala eolica a pochi metri da casa: energia pulita, ecologica.
ma non solo quasi nessuno in paese era al corrente dell'impianto delle pale eoliche, soprattutto la produzione di quella energia non è pensata per essere redistribuita, neanche in parte, nel contesto che la produce, di cui sfrutta il vento.
è solo il business globale del gruppo Espe Srl Grantorto - la cui sede è, appunto, in provincia di padova - e di qualcun altro.
di chi? esattamente non si sa. ma di certo l’energie pulita prodotta dal vento interessa anche gli affaristi locali. un paio di settimane fa il quotidiano online l'Ora ha pubblicato un articolo sul re del vento dei parchi eolici di Alcamo, a qualche decina di km dalla casa dei genitori di vesna, tale Vito Nicastro: affiliato a cosa nostra e ai politici di turno in modo trasversale. Il giornalista descrive così il business: Acquistare i terreni, ottenere le concessioni, impiantare il parco eolico e poi cedere “tutto compreso” ai grandi colossi del settore: più facile a dirsi che a farsi. Eppure tra il 2002 e il 2006 sono centinaia i megawatt che la Eolo, prima grossa società dell’ex elettricista di Alcamo, gira alle grosse aziende mondiali, come gli spagnoli di Endesa o i danesi di Grenntex. Lui stesso sottolinea un po’ spocchioso che quello “fu un periodo d’oro, decine di milioni di euro di guadagno ogni anno.”
“leggendo questo articolo, in un modo diverso da come l'ho sempre capito, ho capito che cosa sia lo sviluppo”, dice vesna.
abbiamo visto la pala eolica impiantata qualche giorno prima del termine per la consegna del contributo al convegno postcolonialitalia di padova. fare ancora una volta esperienza diretta delle contraddizioni dello sviluppo ci ha fatto sentire che era necessario comporre una proposta incentrata su una visione postesotica delle isole, fare arcipelago e riunirci tutte.
fare auto-archivio, fare memoria, fare diario
a padova, il primo giorno del convegno è stato nell’archivio antico di palazzo bo. l'architettura interna delle stanze e gli affreschi raccontano i moti del 1848, l'annessione all'Italia, l'aspirazione dei giovani studenti alla dominazione. un'enorme aula in legno, solenne, un archivio verticale, ordinato e imponente raccoglie i fondi provenienti dalle diverse istituzioni accademiche che formavano l’ateneo durante la repubblica di venezia, poi sotto le dominazioni francese e austriaca, infine come parte dello stato italiano.
l'archivio rappresenta l'accumulazione del sapere che ha contraddistinto padova rispetto ad altre città. nel testo i fondamenti del capitalismo uno storico di tradizione marxista originario di trinidad, oliver cox, descrive la repubblica di venezia come un modello protocapitalista, un centro commerciale nodale. “storicamente, invece, padova può essere considerata come la berkeley della repubblica di venezia, rappresenta il suo potere culturale, la sede di formazione delle sue élites. venezia è un'isola dominante” dice chiara.
“come lo uk e l'australia... e manhattan è un’isola?”, risponde lara ge.
una dopo l’altra usciamo dalla stanza. l'archivio di palazzo bo ci mette a disagio, ci inquieta la sua estetica, il peso della storia, della storia nazionale, della storia nazionale dell'arte.
attraverso il fare archivio l’occidente si espande e si protegge. l’archivio fa il punto della situazione in modi inequivocabili attraverso la scrittura, le arti e oggi la tecnologia: ciò che è nuovo ha spesso a che fare con la messa in discussione di ciò che è stato ufficialmente deciso, scritto o immortalato prima. ma fare archivio in senso occidentale fa diventare questi passaggi dei mutamenti chiusi: aprire qualcosa di chiuso avviene spesso solo attraverso delle forzature.
fare archivio è una strategia necessaria alla conservazione della storia ufficiale occidentale che perciò influenza anche i processi postcoloniali e la creazione di prospettive postesotiche.
le minoranze non-occidentali trasmettono le loro storie attraverso le pratiche, la vita quotidiana, la cucina e il racconto orale, tutte cose che agiscono un po’ come il vento.
ogni volta che una minoranza non-occidentale si deve relazionare ad una modalità di fare archivio di stampo occidentale è messa di fronte a una sensazione che ha a che fare con la morte.
il contesto occidentale si crede 'vincente' grazie alla chiusura e alla conservazione.
visto da questa angolazione, un modo di vivere non-occidentale è come se fosse destinato alla perdita ma questa perdita è solo un fantasma determinato dal fatto di non vivere come vivono gli occidentali. durante la trasmissione, le pratiche e i sapori non-occidentali cambiano e la capacità di cambiare, in modo positivo, è ciò che garantisce la vitalità di una storia postesotica.
la tensione verso il fare memoria tiene in considerazione il fatto che la vitalità di una pratica e di una storia non-occidentale dipende dal rischio e da quello che in occidente chiamano perdita, che è trasformazione.
siamo coscienti che tutto ciò che sfugge alla documentazione fa spesso parte dei passaggi più sinceri (dati spesso da dei riferimenti anche apparentemente incosci di origine non-occidentale) che permettono la trasformazione delle nostre singole storie in un progetto di vita comunitaria e postesotica.
il nostro fare auto-archivio perciò dipende dal nostro, in parte, essere posizionate ad occidente e si misura con la nostra mancanza di fiducia rispetto al fare archivio istituzionale.
il video, la scrittura, il web servono per dimostrare la nostra storia e sono efficaci specialmente in ambito occidentale.
forse quello che cerchiamo di comporre non è neanche un auto-archivio. ci impegniamo a lasciare delle tracce per creare delle connessioni. perché la nostra vita possa essere letta, vista, ascoltata, toccata anche da altri e altre, anche in nostra assenza. lasciare delle tracce è postesotico. quanto sforzo ci abbiamo messo per potere ritrovare delle tracce, fare delle connessioni, a partire dalle storie delle nostre madri, dalle nostre nonne.
eppure le connessioni più aspre a volte sono quelle con le storie dei nostri padri.
il conflitto tra perla e suo padre non s’arresta mai.
lui non perde l’occasione di farle presente l’inutilità del convegno di padova in cui intervengono, oltre a noi, intellettuali di sinistra. tanto si sa che è tutto un magna magna.
magna magna. lui che ha lavorato per le grandi imprese italiane all’estero che sfruttavano l’acqua per creare energia. lui, che suo padre stava nella milizia forestale italiana in etiopia.
sconfortante come il lavoro del padre di perla sia costantemente iscritto in logiche coloniali.
perla è nata in venezuela perché suo padre lavorava come capo cantiere della diga la honda per impregilo, un’impresa del nord d’italia tra le più grandi nel settore delle costruzioni.
i motti del padre di perla, l’anteriore come il più recente, possono essere perfettamente quelli del capitalismo stesso: il progresso, la più grande delle nostre opere e we build value (costruiamo valore).
l’ultimo lavoro prima d’andare in pensione è stato un cantiere a chioggia. dirigeva la ricostruzione della riva proprio mentre un regista, intervenuto pure al convegno di padova, stava girando un film sulle migrazioni cinesi e slave in italia. il padre di perla si lamentava che le riprese interrompessero lo svolgimento dei lavori a discapito della costruzione e del progresso dell’impresa.
un’altra coincidenza, un’altra divergenza.
un ulteriore segnale di come noi possiamo e dobbiamo cambiare il corso della storia e della storia di ognuna.
siamo a padova insieme a pensare e immaginare gli archivi del futuro: questo è il titolo del convegno.
siamo coloratissime come sempre - questa è anche una nostra forza - come sono coloratissime le isole che abbiamo creato, e piene di vita e di storie da raccontare attraverso i vestiti, il sudore, il montaggio video, gli spostamenti. le isole dipendono da una pratica, il cucito, che ha una storia molto lunga. ad esempio, fare memoria con le isole è trasmettere una pratica che ci porta al mercato, ci fa imparare ad imbastire, ad immaginare, come quando si è piccole, cose incredibili che non è vero che non si possono realizzare.
è passato quasi un anno da quando abbiamo fatto le isole, un anno da quei lunghi mesi a parigi tra shakirail e paris8. siamo partite da valencia, verona, pordenone per ritrovarci tutte a padova.
sono passati vari mesi, e molte distanze, non solo geografiche, tra di noi. il congresso sembrava un pretesto per chiarire alcuni dubbi sull’utilità dei nostri progetti e delle nostre pratiche: fare coincidere discorso teorico, pratiche quotidiane e traduzione creativa non è mai così semplice, quando le nostre storie sono così diverse.
durante il viaggio in treno da verona a padova troviamo il momento per iniziare ad esprimere i dubbi reciproci rispetto gli obbiettivi di ognuna: avremmo dovuto pensare a formulare e organizzare la nostra presentazione ma la perdita del senso comune ci ha spinto a chiederci, prima di tutto, chi siamo e cosa cerchiamo nella vita.
dopo questa discussione collettiva la sfiducia è così grande tra di noi che non abbiamo la forza neanche di pensare e di decidere chi parlerà e come. poi tutto ha inizio, e le paure non sono più solo i nostri dubbi “interni” ma sono rivolte verso le aspettative esterne.
come un qualcosa che funziona in maniera indipendente la presentazione prende forma. dietro le porte chiuse dell’archivio, ci mettiamo d’accordo. non è solo l’urgenza o le attese esterne che ci animano, è la responsabilità delle nostre storie. ogni singolarità ha trovato un senso profondo nella creazione del discorso sull’arcipelago che non è mai stato un discorso chiuso. ci rendiamo conto dell’importanza di ognuna nella complessità della nostra proposta, ci accorgiamo che quella proposta si fa nello stesso momento in cui la presentiamo anche grazie all’ascolto e alle domande di chi ci ascolta. intanto costruiamo il nostro autoarchivio nelle riprese video documentative di merisma.
durante e dopo il nostro intervento, ci rendiamo conto che il convegno riunisce persone realmente interessate ai cambiamenti di prospettiva in corso.
ci hanno fatto molte domande. ci hanno chiesto:
che cosa significa fuggire, autoesiliarsi e in che modo le isole riorganizzano le relazioni tra i vissuti diasporici e quelli radicati (tania rossetto)
come le pratiche artistiche e attiviste possano creare un impatto nel pensiero
come il rimosso collettivo in occidente determina la necessità di archivi ombra (paola zaccaria)
quali connessioni esistono tra postcoloniale, femminismo e anticapitalismo (roberto derobertis)
se ci anima la nostalgia del passato o quella del futuro (roberto beneduce)
in che modo viviamo il mercato e contrastiamo il capitalismo (leonardo de franceschi)
perché, se il mondo si divide in people who don't want to remember e people who can't afford to forget, "chi perde" si ritrova nella seconda categoria
come every day we learn how to live not in a capitalistic way (boaventura de sousa santos)
l'idea di postcoloniale che ognuna di noi aveva prima di questo convegno sicuramente era diversa da quella che ora abbiamo condiviso.
durante un dibattito annalisa oboe ha detto che il postcoloniale è possibile solo quando c’é una collaborazione tra le parti. nel nostro caso, pensare in un modo positivo la relazione tra esuli e radicati, tra sud e nord, tra africa e occidente, tra pratica e teoria, tra scrittura e pratica artistica è l'unica possibilità di trasformazione. questa idea è stata ripetuta spesso durante il congresso: è nella pratica che si scontra con le incertezze e i conflitti quotidiani grazie ai quali ci sforziamo di cambiare.
le incertezze e conflitti non si limitano solo al piano formale di una presentazione ma si rispecchiano nei piccoli gesti inconsci che incorporiamo ed emergono anche nei momenti delle cene, quando siamo assieme.
pensare che l’arcipelago ci rappresentasse tutte non è venuto da sé, non è stato immediato.
s’è trattato d’un processo nel quale le più continentali/peninsulari di noi, autoesiliate in spagna, si sono portate dietro il carico dello stato nazionale di provenienza e lo hanno rielaborato attraverso strumenti e simbologie riguardanti il corpo e la performance, tornando nel territorio nazionale tutte le volte che entravano in scena.
vederci come un arcipelago è stato un punto d’arrivo per mettere in comune e in relazione le nostre storie.
durante il congresso in più casi si è parlato di rappresentazioni, d’arte e dell’importanza di una critica posizionata rispetto alla produzione di un immaginario “altro”.
ci siamo rese conto che la nostra proposta significa anche non sostenere una divisione tra quello di cui si parla e chi parla. abbiamo ascoltato e visto gli antropologi parlare degli artisti, gli artisti rappresentare i migranti, etc.
il nostro impegno quotidiano è operare delle connessioni, riequilibrare i rapporti di forza e tradurre questi processi nei linguaggi che conosciamo.
per le isole è sempre, da sempre, stato difficile trovare le parole e sempre, da sempre è stato difficile trovare un modo perché le parole stessero nel processo artistico, insieme
al processo artistico. è un processo ampio nel quale siamo immerse, nel
quale stiamo perché ci pare buono. le tempeste non sono mai state un
incidente.
la nostalgia è stata una spinta molto forte, un sentimento mobilitante all'inizio del lavoro tra le isole. è stata un'emozione che ci ha orientate a prendere coscienza di quello che era perduto e che avremmo continuato a perdere puntando a nord o a ovest.
nel senso comune la nostalgia è la malattia del ritorno, un'attrazione in sé paradossale: è la tensione a tornare in un luogo nel quale, in ogni caso, non si riesce a sostare né ad immaginare parti della propria vita. la nostalgia alimenta i ritorni “turistici” o “di dovere” e si fonda sull'idea di essere andate inesorabilmente avanti.
avanti significa anche dimenticare: la nostalgia è un ricordo a metà, quando ti serve dimenticare ti permette di farlo.
la memoria è costante, ci serve ovunque ci spostiamo.
in questo senso si potrebbe dire che la nostalgia è esotica, la memoria è postesotica.
da quando siamo tornate a sud e est, e a tutte le nostre storie, la nostalgia non ha avuto più un ruolo cosi’ importante. abbiamo memoria, e non più solo nostalgia, delle nostre origini.